La guerra al Cnel: vietato l'ingresso al numero due

La guerra al Cnel: vietato l'ingresso al numero due
di Claudio Marincola
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Lunedì 20 Marzo 2017, 08:44 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 12:09
ROMA L'ultima richiesta del presidente Napoleone ha sorpreso persino il personale addetto alla sorveglianza: vietare l'ingresso al segretario generale Franco Massi. Al Cnel siamo ormai alla guerra dei Roses, alla rappresaglia. Oggi per evitare prove di forza all'entrata di Villa Lubin è stata richiesta una pattuglia di rinforzo dei carabinieri. Una coda ingloriosa per l'ente sopravvissuto al Referendum ma svuotato di rappresentanza e di competenze. Un'ente previsto dall'articolo 99 della Costituzione ma definito da quasi tutte le forze politiche «inutile», tenuto in vita artificialmente solo perché il governo non può staccare la spina.

IL BRACCIO DI FERRO
Il personale, una sessantina di dipendenti, si sente sempre più mobizzato e disorientato. Ma il presidente facente funzioni, che può contare su un ristretto drappello di fedelissimi, va avanti come se niente fosse. Venerdì scorso ha firmato un atto di cessazione con «effetto immediato» delle funzioni del segretario generale che pure sarebbe in regime di prorogatio. Non contento, Napoleone ha chiesto che al segretario generale venisse anche disabilitato il badge. Una decisione in contrasto con le indicazioni della Presidenza del consiglio che dopo aver sentito il parere dell'Avvocatura generale dello Stato aveva ritenuto non più tardi di due settimane fa di ribadire che «l'attuale incarico del segretario generale debba proseguire sino al completamento del procedimento costituzionale di soppressione dell'Organo, cioè fino al momento in cui cesserà ad ogni effetto la gestione amministrativo-contabile dell'Organo medesimo».

Il braccio di ferro è iniziato 3 mesi fa. Il presidente (facente funzioni) aveva già risposto picche a Confindustria che gli chiese di farsi da parte. E ha continuato a puntare i piedi. Dei 64 membri che componevano l'assemblea del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ne sono rimasti un terzo, tutti gli altri hanno deciso di dimettersi. Massi, nominato da Palazzo Chigi arrivò a Villa Lubin nel 2011 per rimettere in sesto i conti e tagliare gli sprechi, cosa che ha fatto puntualmente per i 5 anni del suo mandato. Avrebbe dovuto lasciare ma per il referendum gli è stato prorogato l'incarico.

Delio Napoleone, un imprenditore pescarese, lo vede come il fumo negli occhi. Si è messo in testa di cacciarlo e ci sta provando in tutti i modi. Nell'atto in cui chiede di esautorarlo sostiene che il «dottor Massi da lungo tempo non è presente quotidianamente in ufficio, non partecipa alle attività ordinarie del Consiglio, non incontra il presidente. Si è determinata si legge ancora una interruzione nell'ordinato svolgimento delle funzioni interne».

La situazione di stallo insomma non si sblocca. E la sfida tra il presidente e il segretario generale continua. Questo mentre il Parlamentino del Cnel, Ente di rilevanza costituzionale, si riunisce sempre meno. Anche perché i rimborsi per i membri del Consiglio non sono più previsti e in pochi sono disposti a rimetterci di tasca propria. Nel frattempo Massi ha preso carte e penna e ha scritto ai dirigenti del Cnel sostenendo «l'infondatezza delle affermazioni» e invitandoli a informare il personale che «il vertice amministrativo è soltanto il Segretario generale le cui direttive operative sono le uniche abilitate a tradurre in disposizioni le linee di indirizzo formulate dal vertice politico». Dal canto suo Napoleone ha minacciato di adottare provvedimenti a tutela dell'ordinata «continuità costituzionale». E al Messaggero commenta lapidario: «Il mio è un atto ricognitivo, non ho nulla di personale contro Massi anzi, ho preso atto di quanto stabilito dall'assemblea lo scorso gennaio».