Migranti, asilo solo a chi lavora: il Viminale prepara nuove regole

Migranti, asilo solo a chi lavora: il Viminale prepara nuove regole
di Cristiana Mangani
4 Minuti di Lettura
Lunedì 16 Gennaio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 07:52

ROMA Espulsioni, rimpatri, ma anche integrazione. Il piano Minniti per l’immigrazione verrà illustrato dallo stesso ministro dell’Interno mercoledì prossimo, davanti alla Commissione Affari costituzionali. E prevederà alcune importanti novità: innanzitutto la possibilità che i richiedenti asilo vengano impiegati in lavori socialmente utili. Ma non come è stato fatto finora, ovvero nei pochi casi in cui sindaci di buona volontà e stranieri ben disposti, abbiano acconsentito a ripulire giardini e a fare lavoretti nei comuni. Il responsabile del Viminale vuole che il lavoro diventi una regola per tutti coloro che, sbarcati in Italia, chiedano lo status di rifugiato. Un requisito importante per il buon fine della pratica.

IL PERMESSO PROVVISORIO 
In attesa quindi che la richiesta di accettazione segua i passaggi di legge, dopo due mesi dall’arrivo nel nostro Paese, l’immigrato riceverà un permesso provvisorio sul quale verranno inseriti i dati di cui si dispone e verrà indicato il suo nome come “sedicente”, visto che l’identità deve essere ancora verificata. Nel momento in cui il richiedente asilo verrà inserito nel sistema Sprar, i comuni che lo ospitano potranno decidere di offrirgli delle opportunità di lavoro socialmente utili. Una proposta che Minniti intende mettere a regime e che potrebbe voler dire una modifica della legge, in modo tale che possa diventare requisito obbligatorio. Che si tratti della legge Bossi-Fini o di quella sul diritto di asilo. Così come già avviene in Germania, dove esiste l’obbligo di formazione linguistica e lavorativa. E che potrebbe trovare in Italia solo lo scoglio retribuzione.

«Al momento - spiega Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Anci per l’immigrazione - non esiste un obbligo in Italia, anche se ci sono molti comuni che hanno impiegato gli stranieri nel volontariato. Va costruita la norma. Nella mia città ho 470 immigrati, di questi hanno risposto positivamente in 100. Sarebbe un segnale utile anche per la cittadinanza che non sembra gradire vedere gli stranieri tutto il giorno a non fare niente». Nel progetto di coinvolgimento al lavoro dovrebbe essere ipotizzata anche una forma di ricompensa per l’attività svolta, sebbene l’argomento apra questioni molto spinose e di difficile soluzione.

Il piano del Viminale prevede poi la riapertura dei Cie, che si chiameranno Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Non soltanto un cambio di nome, ma anche di organizzazione e funzionamento delle strutture che, nel corso degli anni, hanno mostrato tutti i loro limiti. Anche ora l’idea di “resuscitare” i Cie ha scatenato reazioni negative, dallo stesso Pd alla Chiesa. Ma Minniti ha voluto essere chiaro sulla questione: «I nuovi centri non avranno nulla a che fare con quelli del passato, avranno governance trasparente e un potere esterno rispetto alle condizioni di vita all’interno». E il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha sottolineato che «nessuno vuole creare delle Guantanamo: semplicemente si vuole applicare la legge che prevede l’espulsione degli irregolari».

I PUNTI CHIAVE 
Rimpatri, espulsioni e lavoro: le tre linee guida di una svolta che vuole essere culturale e politica allo stesso tempo. Qualcosa che consenta all’Italia di ricevere un aiuto concreto dall’Europa, visto che sulla questione immigrazione e sicurezza sono affondati già Francia e Germania.
Gli uffici del ministero dell’Interno sono al lavoro per mettere a punto un modello di struttura che possa funzionare in modo efficiente. Saranno centri piccoli, 80/100 posti al massimo, uno per regione (ma Valle d’Aosta e Molise dovrebbero essere escluse), per complessivi 1.500-1.600 posti, da individuare fuori dai centri cittadini, preferibilmente in prossimità degli aeroporti. Un garante controllerà il rispetto dei diritti umani e la correttezza delle procedure seguite. Ci finiranno persone potenzialmente pericolose da rimpatriare, non semplicemente chi non ha il permesso di soggiorno. A sorvegliare i centri potrebbero essere destinati i militari che partecipano all’operazione Strade Sicure.

Il giorno dopo l’audizione in Commissione, il ministro illustrerà il piano complessivo in sede di Conferenza Stato-Regioni. Gli altri capisaldi della strategia saranno la riduzione a uno dei gradi di appello previsti nei ricorsi contro il diniego della domanda di asilo, la legge sull’immigrazione clandestina, gli accordi con i Paesi di provenienza e transito dei flussi per prevenirli e ottenere i rimpatri (Minniti è già stato in Tunisia, Libia, Malta, e domani andrà a Berlino), oltre all’allargamento della platea dei Comuni che fanno accoglienza (attualmente solo 2.600 su 8mila) per mezzo di incentivi (500 euro per migrante già stanziati).

© RIPRODUZIONE RISERVATA