I confini della norma/Il Paese davanti all’incertezza della pena

di Carlo Nordio
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Martedì 6 Giugno 2017, 00:05
Per chi è digiuno di giuridichese, diciamo subito che la Cassazione non ha disposto la liberazione di Totò Riina, né un mutamento del suo stato di detenzione. Ha semplicemente imposto al tribunale di sorveglianza di rivedere la precedente decisione ( che aveva respinto l’istanza di scarcerazione) alla luce di un principio nuovo: quello di poter morire con dignità. E qui sta appunto l’originalità della pronuncia. 

Il differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute significa questo: che il condannato, quando non può essere curato in carcere, può, e talvolta deve, essere mandato a casa, o in ospedale, al fine di ricevere quei soccorsi che la detenzione gli impedirebbe di avere . La legge cerca così di conciliare alcuni principi costituzionali: la certezza della pena, l’uguaglianza davanti alla legge, il divieto di trattamenti disumani e il diritto alla salute. Lo fa fissando due presupposti: che la malattia sia particolarmente grave, e che l’impossibilità di curarla in carcere si converta in un’afflizione aggiuntiva. È allora evidente che nel caso di Riina si pongono problemi ulteriori.

Qui infatti, a quanto si capisce, non si tratta più di assicurare al detenuto una terapia che il carcere non sarebbe in grado di garantire ; e nemmeno di evitare un aggravamento di una patologia peraltro definita irreversibile. Si tratta dell’affermazione del diritto a morire con dignità. Un diritto così sacro e incontroverso che, istintivamente, saremmo tentati di dire che finalmente la giustizia si coniuga con la razionalità, se non proprio con la misericordia. Mentre invece la questione si complica, per almeno tre ragioni.

<HS9>La prima è che le strutture carcerarie odierne contengono,al loro interno, sezioni ospedaliere dove le cure palliative - che di per sé stesse non necessitano di un’alta tecnologia - possono essere somministrate con un’ efficacia uguale, e talvolta anche maggiore, di quelle di molti ospedali. E che quindi, se non si profila la necessità di un trattamento terapeutico più complesso, lo scopo di una morte dignitosa e indolore è raggiungibile anche senza liberare un pluriergastolano.

<HS9>La seconda è che, sempre a quanto si legge, la situazione di Riina è gravemente compromessa anche dal punto di vista neurologico. Questo significa che la collocazione nell’ ambiente familiare sarebbe di poco momento, visto che non sarebbe nemmeno percepita nella sua valenza consolatoria. In ogni caso, e questo sarebbe un principio sacrosanto, si potrebbe e si dovrebbe garantire la presenza dei propri cari, nell’imminenza del trapasso, anche all’interno di un penitenziario, o nella struttura sanitaria che vi è annessa.

La terza è che, sino ad ora, il differimento della pena è sempre stato correlato a una patologia grave o gravissima, ma non terminale e manifestamente irreversibile. La scarcerazione provvisoria ha un senso se tende a evitare un peggioramento delle condizioni del detenuto che aggiunga dolore a dolore, e magari ne anticipi il decesso. Ma nel momento in cui si parla di diritto alla morte dignitosa, l’intera impalcatura cade. E di fatto si elimina l’ergastolo, perché, per definizione, l’ergastolano è destinato a veder l’avvicinarsi della fine tra le sbarre; se in quel momento ha diritto di uscirne, per morire con dignità, la pena perpetua non ha più senso. Questa soluzione è profondamente umana, e forse anche auspicabile. Ma è una scelta che va definita dal legislatore.

<HS9>Concludo. Il nostro Paese non ha mai brillato per chiarezza e coerenza quando ha trattato questi problemi di alta levatura etica e giuridica. Mantiene l’ergastolo, perché teme una rivolta popolare, soprattutto in questi tempi di esasperazione terroristica in cui si invoca, al contrario, la pena di morte. E in caso di necessità è ricorso agli espedienti più infantili e grotteschi, come quando liberò Kappler, il boia delle Fosse Ardeatine, simulandone la fuga nella valigia della moglie, per ottenere in cambio un prestito dalla Germania Federale. 

<HS9>Ora , sappiamo bene quanto siano odiate e odiose le figure dei mafiosi; e al tempo stesso quanto sia radicato, oltre che imposto normativamente, il principio dell’umanità della pena. Sappiamo anche che vi sono provvedimenti chiari e distinti, come la Grazia, che talvolta possono risolvere situazioni contraddittore e dolorose. Quello che chiediamo è che la politica, anche qui, si assuma le sue responsabilità. Magari rivedendo in radice un codice penale che, malgrado le pasticciate ed episodiche riforme, reca pur sempre la firma di Mussolini.


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