Le lacrime di Giovanna, vedova della crisi: «Andrò avanti, lo devo all'amore che ho avuto per mio marito»

Le lacrime di Giovanna, vedova della crisi: «Andrò avanti, lo devo all'amore che ho avuto per mio marito»
di Veronica Cursi
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Mercoledì 6 Novembre 2013, 18:29 - Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 16:43
Giovanna Temperanza ancora non ce la fa. Non può, non ci riesce ad accettare quel gesto, vigliaccheria, forse coraggio, più semplicemente rassegnazione, «la disperazione io e mio marito l’avevamo sempre condivisa in due», dice e cerca di farsi forza e ora invece lei è sola, sola a lottare anche per lui.



Giovanna Temperanza è una vedova, una vedova della crisi. Una di quelle tante, troppe donne vittime della recessione, della solitudine, dei conti in rosso e delle banche che non ti fanno più credito. Una che fino a tre giorni fa aveva un marito e aveva ancora la voglia di lottare. Poi domenica mattina, suo marito Roberto Mollisi, 68 anni, ha deciso che non ce la faceva più: si è sparato nel suo ristorante a Riparbella, in provincia di Pisa, una piccola osteria a gestione familiare.



Lì dove avevano lavorato tutta la vita, visto crescere i loro due figli, costruito una casa, un futuro. Lì, dove negli ultimi tempi tutto era diventato più difficile e avevano dovuto licenziare cuoco e camerieri, lavorare «15 ore al giorno, sabato e domenica, nei giorni di festa, senza ferie, vacanze, riposi», perché a casa qualche soldo bisognava portarlo, anche pochi spiccioli, ma si doveva andare avanti. Già si doveva. E invece Roberto Mollisi è morto d’impresa. Di quel male che negli ultimi anni sta facendo vittime in tutta Italia.



Accanto al suo corpo, suo figlio, il primo a scoprire il cadavere, ha trovato un biglietto, «chiedo scusa a mia moglie e ai miei figli». Poche parole, tanto è bastato a Giovanna per capire che Roberto non ce la faceva più, lui che una vita prima ce l’aveva, e pure una speranza, un futuro ma poi è arrivato il fisco, Equitalia, le multe, i debiti che lievitano, i crediti congelati, l'attività che va male, il lavoro da togliere, la pensione che non basta per campare. «Roberto era tutto - dice Giovanna e non ci sono parole per descrivere il suo dolore - Eravamo sposati da 42 anni ed eravamo una famiglia felice con tutti gli alti e bassi che possono esserci nella vita».



Difficile ora accettare quel gesto, troppo facile trasformare il dolore in rassegnazione. Ma Giovanna non ha intenzione di mollare e a tutte le donne che come lei, un giorno qualunque, si sono ritrovate sole, dice «facciamoci forza e andiamo avanti, facciamolo per l'amore che abbiamo avuto per i nostri mariti». Si rimbocca le maniche e la vita e apre un nuovo capitolo: «Riaprirò il ristorante di Roberto, anche grazie alll'aiuto che ho avuto dal prefetto Francesco Tagliente».



«Quando ho incontrato la signora Giovanna e ho capito che aveva deciso di chiudere la sua attività - spiega il Prefetto - ho convocato in via straordinaria il Servizio di ascolto e sostegno che abbiamo aperto da un mese nella Camera di Commercio di Pisa, attivato proprio per dare sostegno a tutti coloro che si trovano in difficoltà. Abbiamo convinto la signora a non chiudere il ristorante. E l’abbiamo messa in condizione di poter lavorare nuovamente. Gli è stata data la possibilità di poter utilizzare le due autovetture sottoposte a "fermo amministrativo" da Equitalia, ritenute indispensabili per l'esercizio della sua attività e una pausa temporale per poter onorare i debiti». Così la prossima settimana, il 14 novembre, con una grande cena dove parteciperanno autorità, il Prefetto, uomini dei Carabinieri e della Polizia, il ristorante di Roberto e Giovanna riaprirà. Uno schiaffo alla crisi. E alle sue vittime. Grazie anche all’appello fatto a tutti i cittadini: «per aiutare questa apprezzata cuoca nel primo periodo di riavvio dell'attività di ristorazione ho invitato tutti coloro che si riconoscono sensibili alle tragedie umane ad andare a cena al suo ristorante a Riparbella, località Melatina, sulla strada che porta da Cecina a Volterra - spiega ancora Tagliente - perché queste persone non vanno lasciate sole. Non si muore di crisi, ma di solitudine».
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