In primo grado, secondo i periti, le scarpe indossate dall'imputato e consegnate il giorno dopo ai carabinieri si sono potute ripulire dopo aver calpestato il pavimento sporco di sangue di casa Poggi. Secondo altri periti, invece, è da escludere che il sangue secco, una volta pestato, si sia disperso. Inoltre, l'esperimento effettuato sui tappetini della Golf nera - l'auto usata per raggiungere i carabinieri dopo aver scoperto il corpo di Chiara - certifica che qualche traccia di sangue doveva restare sotto le suole di Alberto. Insomma le Lacoste immacolate incastrano l'imputato.
LE BUGIE - Il racconto di Alberto non convince: la telefonata al 118 viene fatta non davanti alla villetta ma a pochi passi dalla stazione dei carabinieri come svela una voce in sottofondo. Stasi mente sul numero delle biciclette in possesso della sua famiglia e non spiega di aver lavorato alla tesi la mattina del delitto, secondo l'accusa. Non convince il racconto del volto «pallido» della fidanzata ricoperto invece di sangue quando i soccorritori trovano il corpo di Chiara. In un processo indiziario tutto questo non basta, per la difesa.
LE BICICLETTE - Il ritrovamento del Dna di Chiara sul pedale della bici bordeaux di Alberto porta al suo fermo, ma è su una bici nera vista da una vicina davanti a casa Poggi la mattina del delitto che si concentrano le indagini.
L'allora 24enne invertì i pedali tra le due bici quando la stampa iniziò a scrivere che si cercava una bici nera è la tesi della parte civile; c'è una terza bici mai trovata per la pubblica accusa. Anche in questo caso, per la difesa, si tratta di ricostruzioni fantasiose.
IL PORTASAPONE E IL DNA - Una foto mostra che sul pigiama di Chiara ci sono quattro impronte di una mano dell'assassino: quando viene spostato il corpo la maglietta viene intrisa di sangue e addio ditate. Quella immagine però svela che chi ha ucciso si è sporcato e prima di scappare si è lavato. Lo dimostrano le impronte insanguinate delle scarpe dell'assassino numero 42 - lasciate davanti al lavabo in bagno - mentre sul dispenser portasapone resta il sangue della vittima misto al Dna di Alberto.
L'ALIBI - Alberto sostiene di lavorare alla tesi di laurea mentre Chiara muore. Quello che si riesce a ricostruire è che accede al suo file alle 9.36, Chiara disattiva l'allarme di casa alle 9.12; in 23 minuti secondo accusa lo studente poteva uccidere la fidanzata. Finestra temporale troppo ridotta invece per la difesa: nessuna prova che Alberto sia uscito di casa a quell'ora, né che Chiara sia morta in quell'arco di tempo.
IL MOVENTE RESTA UN MISTERO - È nella relazione di coppia che si scava per trovare un movente. Chiara era diventata una presenza «ingombrante e inutile», forse un ostacolo per le sue perversioni: la vittima avrebbe scoperto - è solo una teoria dell'accusa - le numerose foto pornografiche presenti nel computer del fidanzato. Una «mera ipotesi», di fronte a un movente mai accertato ribatte la difesa, parole condivise ieri dall'accusa.
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