Garlasco, le parti civili: 11 indizi contro Stasi. La mamma di Chiara: speriamo ci sia giustizia

Garlasco, le parti civili: 11 indizi contro Stasi. La mamma di Chiara: speriamo ci sia giustizia
di Claudia Guasco
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Giovedì 27 Novembre 2014, 17:39 - Ultimo aggiornamento: 28 Novembre, 15:12
MILANO - Impossibile dare un valore alla vita, soprattutto se si tratta di quella di una ragazza di 26 anni massacrata e gettata dalle scale. "Speriamo che dopo sette anni ci sia giustizia per Chiara", dice la mamma Rita Preda. Tre giorni fa il pg Laura Barbaini ha chiesto alla Corte d'Assise d'Appello di condannare Alberto Stasi a trent'anni di carcere per l'omicidio volontario di Chiara Poggi, oggi a prendere la parola è la parte civile rappresentata dagli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna. Per l'imputato non possono chiedere anni di carcere, ma indicare il risarcimento che ritengono congruo qualora il verdetto stabilisse la colpevolezza di Alberto. "Il compito della parte civile e' stato quello di chiedere giustizia per Chiara dopo tanti anni. Ci siamo rimessi alla decisione della Corte per la quantificazione del risarcimento e perche' Stasi sia condannato alla pena di legge", afferma l'avvocato Tizzoni. Per il quale non ci sono dubbi: e' stato Alberto a uccidere Chiara.



Nove sono gli indizi gia' noti, due invece sono inediti e sono emersi proprio nell'ambito del processo d'Appello bis, seguito all'assoluzione in primo e secondo grado e al rinvio della Cassazione. Si tratta dei presunti graffi "freschi" sul braccio sinistro di Stasi, di cui non esistono immagini perche' nella prime fasi delle indagini nessuno ha provveduto a fotografarli, ma la cui presenza e' stata confermata da due carabinieri che hanno deposto in udienza. L'altro punto inedito consiste nell'individuazione della marca, del modello e del numero - il 42, proprio quello indossato da Stasi - delle scarpe con la suola a pallini le cui impronte sono state rinvenute sulla scena del delitto. Questi, insieme ad altri nove, rappresentano per la parte civile indizi "gravi, precisi e concordanti" che inchiodano Stasi. In aula gli avvocati hanno fatto ascoltare la telefonata al 118 con cui Alberto dà l'allarme e chiede aiuto dopo il ritrovamento di Chiara. Un elemento su cui l'imputato mentirebbe: quella telefonata non fu fatta davanti alla villetta di via Pascoli a Garlasco, ma davanti alla caserma come dimostra la voce in sottofondo di un carabiniere, è la tesi della parte civile. E ancora: per l'imputato sarebbe stato impossibile calpestate il pavimento della villetta, imbrattato di sangue dall'ingresso fino alle scale che portano alla tavernetta, senza sporcarsi le scarpe di sangue ne' trattenere sulle suole parte di quel materiale biologico. C'e' poi il presunto cambio di pedali tra la bici nera e la bici bordeaux di Alberto, l'assenza di tracce di estranei nella casa di via Pascoli, il dispenser del sapone del bagno in cui si e' lavato le mani l'assassino con il dna di Chiara misto alle impronte del fidanzato. Oltre alle "bugie" di Alberto sul numero di bici di proprieta' della famiglia Stasi: ne' lui ne' i genitori rivelano di essere in possesso della bicicletta nera conservata nel magazzino di papa' Nicola, oltre a quella regalata da un fornitore nel 2006 (nera o grigia) che non si sa che fine abbia fatto. Infine ci sono le contraddizioni nelle quali sarebbe inciampato Alberto, a cominciare dalla descrizione del volto "pallido" di Chiara riversa sulle scale quando invece era coperto di sangue. La tesi della parte civile è che la descrizione della vittima da parte del fidanzato sia "coincidente" con quella dell'assassino. Il corpo di Chiara era scivolato in basso fino al nono gradino, lui ha messo a verbale di averla vista al settimo. Insomma, dalla prospettiva dell'omicida.



Il 3 dicembre la prossima udienza, con l'arringa della difesa, il 17 la sentenza. Dopo due assoluzioni e i nuovi elementi raccolti dall'accusa, l'esito e' piu' che mai aperto. Anche se dopo due anni di inchiesta e cinque di processo mancano ancora due elementi chiave. Il primo: non e' mai stata trovata l'arma del delitto e le perizie non sono riuscite ad andare oltre le ipotesi di un oggetto con una parte appuntuita e una piatta, tipo un martello. Il secondo: non c'e' un movente definito, se non le tensioni all'interno della coppia ricondotta dall'accusa al materiale pedopornografico (per il quale il fidanzato e' stato assolto dalla Cassazione) e alle dodicimila immagini hard catalogate per genere dallo studente bocconiano nel suo computer.