La Francia paga la sua azione di frontiera

di Romano Prodi
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Sabato 21 Novembre 2015, 12:46 - Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 00:29
Di fronte a quanto è successo a Parigi dobbiamo prima di tutto unirci nel dolore delle famiglie colpite e dobbiamo esprimere la nostra vicinanza, la nostra solidarietà e il nostro affetto a tutto il popolo francese.

Non credo invece sia un utile esercizio metterci a discutere, come già molti stanno facendo, se si sarebbe potuto evitare questa tragedia con un'azione preventiva più efficace. Credo che la polizia francese, dopo quanto capitato con Charlie Hebdo, abbia messo in atto tutte le misure possibili e credo anche che sia una polizia tra le più efficienti d'Europa. Penso tuttavia che sia impossibile un controllo sicuro nei confronti di sei milioni di immigrati islamici soprattutto in presenza di strumenti di informazione incontrollabili e di un traffico di armi e un flusso di mezzi finanziari di cospicua dimensione a completa disposizione del terrorismo internazionale.

È invece più utile per il nostro futuro chiederci come mai sia la Francia ad essere il Paese più duramente e ripetutamente colpito. Questo avviene perché è la Francia che si è assunta più di ogni altro Stato europeo il peso di iniziative militari nei Paesi islamici. Nel Mali è l'esercito francese che si è preso il compito di resistere al terrorismo che veniva dal Nord. È la Francia che ha assunto l'iniziativa della guerra in Libia ed è la Francia che, tra i Paesi europei, si sta assumendo il peso maggiore dei bombardamenti in Siria.



Non esistendo una politica della difesa europea, la Francia si è progressivamente assunto questo ruolo. Un ruolo necessario ma che difficilmente può essere portato avanti da un solo Paese. Ritengo infatti che, data la sua ramificazione, la sua presenza in tanti Stati, la protezione e l’aiuto che riceve da strutture e associazioni appartenenti a questi Paesi, il terrorismo può essere sconfitto solo con un accordo tra le grandi potenze, in primo luogo tra la Russia e gli Stati Uniti. Da mesi ripeto questo concetto e sono sempre più convinto che se non si asciuga l'acqua in cui il terrorismo nuota non si riuscirà mai a vincerlo.



Solo quest'accordo può obbligare l'Iran, l'Arabia Saudita, l'Egitto, la Turchia e tutti i Paesi del Golfo a lottare uniti contro chi distrugge la vita civile e l'economia comprese quelle di questi stessi Stati che, tuttavia, nelle divisioni dello scacchiere mondiale nel quale viviamo, finiscono con l'usare il terrorismo invece di combatterlo. Nessun Paese del Medio Oriente può vivere senza il sostegno economico e militare della Russia e degli Stati Uniti.

Nessuna Isis sarebbe in grado di sopravvivere senza le risorse finanziarie che provengono dalla vendita del petrolio, dallo spaccio della droga e dal traffico di esseri umani. Attività che sono possibili solo in conseguenza della contrapposizione di interessi e di ruoli fra i vari Paesi.



Dopo la tragedia di Charlie Hebdo abbiamo assistito a una grande manifestazione di solidarietà che ha riempito Parigi con l'affetto di tutti i popoli. Quello di cui oggi abbiamo bisogno in più è che a Parigi si incontrino subito Obama, Putin, Xi Jinping e Juncker per decidere insieme su come proteggere noi e le prossime generazioni da un nemico crudele e terribilmente ramificato.



Il terrorismo si vince con la politica e con gesti coraggiosi come quello di Papa Francesco che, nel suo prossimo viaggio in Africa, in realtà caratterizzate da lotte sanguinose fra bande armate di cristiani e mussulmani, ha deciso di essere presente in una cattedrale cattolica e in una moschea. Con grande coraggio personale ma con altrettanta lungimiranza politica.