Il massacro delle Fosse Ardeatine

Il massacro delle Fosse Ardeatine
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Venerdì 11 Ottobre 2013, 15:21 - Ultimo aggiornamento: 15:28
L'eccidio delle Fosse Ardeatine fu il massacro di 335 civili e militari italiani, fucilati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per un attacco partigiano compiuto da membri dei GAP romani contro truppe germaniche in transito in via Rasella, attentato che aveva causato la morte di 33 militari tedeschi. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, esso divenne l'evento-simbolo della durezza dell'occupazione nazista di Roma.



Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, nel dopoguerra sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.



LA STORIA. Via Rasella, 23 marzo 1944: una bomba esplode improvvisamente colpendo un drappello di soldati SS. L’attentato, come verrà reso noto in seguito, è un avvertimento della Resistenza italiana contro gli invasori tedeschi. La rappresaglia nazista scatta immediatamente: per ogni tedesco ucciso pagheranno con la vita dieci italiani, scelti tra i detenuti politici e comuni di Regina Coeli e del carcere di via Tasso. È Herbert Kappler il comandante delle SS che compila la lista delle vittime e che, quattro anni più tardi, racconterà, nel corso del processo a suo carico, la dinamica dell’eccidio. Il 24 marzo le vittime designate raggiungono le cave di pozzolana lungo la via Ardeatina, scelte per l’esecuzione. Un trafiletto su Il Messaggero del giorno dopo notifica al mondo che il massacro si è compiuto.



L'ordine di esecuzione riguardò 320 persone, poiché inizialmente erano morti 32 soldati tedeschi. Durante la notte successiva all'attacco di via Rasella morì un altro soldato tedesco e Kappler, di sua iniziativa, decise di uccidere altre 10 persone. Erroneamente, causa la "fretta" di completare il numero delle vittime e di eseguire la rappresaglia, furono aggiunte 15 persone, e non 10. I cinque malcapitati in più nell'elenco furono trucidati con gli altri perché, se fossero tornati liberi, avrebbero potuto raccontare quello che era successo.



I tedeschi, dopo aver compiuto il massacro, infierendo sulle vittime, fecero esplodere numerose mine per far crollare le cave ove si svolse il massacro e nascondere, o meglio rendere più difficoltosa, la scoperta di tale eccidio.



La rappresaglia non poté essere affidata ai sopravvissuti del SS-Polizei-Regiment "Bozen", i quali si rifiutarono di vendicare in quel modo i propri compagni uccisi.



L'esecuzione iniziò dopo sole 23 ore dall'attacco di via Rasella, e venne resa pubblica ad esecuzione avvenuta. La stessa segretezza avvolse la notizia ufficiale dell'attentato subìto dalle truppe occupanti, notizia diffusa assieme a quella della rappresaglia per ragioni propagandistiche secondo una direttiva del Minculpop.



Nel dopoguerra, Herbert Kappler venne processato e condannato all'ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell'ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Colpito da un tumore inguaribile, con l'aiuto della moglie riuscì ad evadere dall'ospedale militare del Celio, il 15 agosto 1977, e a rifugiarsi in Germania, ove morì pochi mesi dopo, il 9 febbraio 1978. Anche il principale collaboratore di Kappler, l'ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, venne arrestato ed estradato in Italia, ove, processato, è stato condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. Anche Albert Kesselring, catturato a fine guerra, fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1946 da un Tribunale Alleato per crimini di guerra e per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania, dove si unì ai circoli neonazisti bavaresi. Morì nel 1960 per un attacco cardiaco.
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