Affitti, sul sito FlatMe c'è anche l'opzione "no gay": bufera sul web

L'annuncio con l'opzione "no gay"
di Marco Pasqua
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Sabato 21 Novembre 2015, 01:28 - Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 18:40
L'obiettivo del sito è ambizioso e comune a molti motori di ricerca di questo tipo: far trovare il coinquilino perfetto a chi sta cambiando casa. Come? Selezionando ovviamente alcune caratteristiche, come il fatto che sia fumatore o che possegga un animale. Richieste comprensibili, quando si deve iniziare a convivere con uno (o una) sconosciuto.



Ma FlatMe, una nuova startup, nata due anni fa, per l'affitto e il subaffitto di stanze o appartamenti, è scivolata su una nuova opzione offerta a tutti i suoi utenti: ovvero quella di escludere a priori gli omosessuali. Con la creazione di un'icona “no gay-friendly”, sostanzialmente si lancia un messaggio inequivocabile, ovvero che in quel dato appartamento non siano ammesse persone omosessuali. Messaggio chiaramente discriminatorio e omofobico. Tanto che, dopo le proteste, l'azienda ha deciso di cancellare il pulsante incriminato.



Il caso, denunciato su Twitter da un utente che si firma Franc La Volpe, ha suscitato una valanga di commenti indignati, e non solo da parte della comunità Glbt. «L'#omofobia non esiste vero? Complimenti @flatmeit, sentivamo la mancanza di questa altra forma di discriminazione», ha twittato Idrossido, mentre in molti propongono provocatoriamente di inserire l'opzione “no ebrei” e “no neri”, per dimostrare l'assurdità di quell'indicazione («Stiamo scherzando? @flatmeit vogliamo aggiungere anche l'opzione "black friendly"?, sottolinea infatti Uberbored_80). Un servizio «vergognoso», lo definisce Samuele Tedesco, presidente Arcigay Valle D'Aosta, mentre “Butulino” si chiede: «Se animali e fumatori possono dare fastidio, in cosa l'essere gay dovrebbe essere un problema?». Anche la senatrice Monica Cirinnà, relatrice del Pd sulla legge per le unioni civili, ha preso posizione contro FlatMe: «compatibilità tra inquilini? Così giustificate discriminazioni. Divieto vale anche per neri, stranieri, malati? Vergogna». E qualcuno, come “John Bolino”, propone già di iniziare una campagna di boicottaggio del sito.



L'azienda, da parte sua, ha dapprima replicato alle critiche che le sono piovute addosso in pochissime ore con un tweet: «Il nostro servizio mappa le caratteristiche principali per una massima compatibilità tra inquilini, niente altro». Successivamente, Daniele Tigli, uno dei creatori del servizio, ha deciso di replicare in prima persona, postando un video di risposta su Youtube: «Anche io sono gay e in questa azienda non si tollera nulla di omofobo. Il tasto gay friendly, al contrario di quello che è emerso, è stato pensato proprio per indicare ai futuri coinquilini persone con un certo tipo di chiusura mentale». La piattaforma, prosegue, è stata pensata per «trovare un massimo grado di compatibilità tra le persone: per esempio un vegan non sarà contento di dividere la sua cucina con un carnivoro». Lo stesso Tigli ha evidenziato che su 650 annunci presenti sulla piattaforma, «solo 20 hanno usato l'opzione no gay-friendly». «In questo modo – spiega ancora - isoliamo chi è chiuso di mente, anche se penso che chi è intollerante cambierebbe idea se conoscesse persone omosessuali. In ogni caso chiedo scusa se c'è stata una maleinterpetazione: cercheremo di rendere quella parte più chiara, perché l'obiettivo non è quelldo di discriminare sulla base dell'orientamento sessuale». Infine, l'ultima decisione, inevitabile: quella di cancellare definitivamente l'opzione. L'annuncio viene dato su Twitter, dal profilo ufficiale di FlatMe: «Abbiamo rimosso il pulsante Gayfriendly e tutti gli annunci (per fortuna pochissimi) con #omofobia».



Nel 2010, un'inchiesta giornalistica dimostrò quanto fosse più difficile per le persone omosessuali che dichiaravano in loro orientamento sessuale trovare un coinquilino. In quell'occasione, l'allora ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, parlando di “episodio inaccettabile”, fece notare come l'Unar (Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali) dovesse preoccuparsi di sanzionare i siti che ospitavano annunci con clausole discriminatorie. Ma cinque anni dopo il problema sembra essere rimasto invariato.
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