E in Europa va peggio/ Psicofarmaci e disagio, il vero boom è nell’Italia del Nord

di Silvio Garattini
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Mercoledì 23 Maggio 2018, 00:05
Gli psicofarmaci sono in questi giorni tirati in ballo anche dalla politica come indice di uno stato di disagio in cui vive la popolazione italiana. Secondo Salvini il 20% degli italiani assumerebbe psicofarmaci, per varie ragioni che includono anzitutto gli strascichi della recente crisi economica e del conseguente aumento della disoccupazione in aggiunta allo stress della vita di tutti i giorni.

Uno stress, quest’ultimo, sempre maggiore anche a causa delle crescenti richieste da parte della burocrazia. 
Non vi è dubbio che la povertà è il più importante fattore di rischio per tutte le malattie, inclusi quindi anche i disturbi mentali. Sulla base dei dati disponibili, il 20% è un “importante arrotondamento”, anche se l’impiego degli psicofarmaci è certamente diffuso. Infatti, si calcola non siano più di 3 milioni le persone che assumono regolarmente farmaci antidepressivi e antipsicotici. 

Tuttavia, non bisogna dimenticare le difficoltà di stabilire un rapporto fra causa ed effetto. Poiché l’Italia è tra i Paesi che in Europa hanno subito i danni maggiori dalla crisi economica, dovrebbe essere anche il Paese con il maggior aumento di utilizzo degli psicofarmaci. In realtà non è così perché l’Italia è il Paese in cui l’aumento dell’utilizzo degli antidepressivi, i farmaci più importanti per il problema in discussione, è aumentato molto poco. L’aumento è stato del 1,6% nel 2016, mentre negli anni precedenti, dal 2013 al 2015, i consumi sono rimasti costanti. A fronte del nostro aumento di consumi, secondo fonti Federfarma, nel Regno Unito l’incremento è stato del 5,6%, in Spagna del 2,9% e del 1,9% in Germania, il Paese forse nelle migliori condizioni economiche in tutta l’Europa. In termini assoluti fra l’altro si consumano più antidepressivi al Nord che al Sud, contrariamente alla situazione economica che suggerirebbe un rapporto opposto.

Un altro indice che possiamo utilizzare sono i ricoveri ospedalieri per disturbi psichici che, secondo l’Osservatorio per la salute, dal 2001 ai giorni nostri sono in diminuzione di oltre il 20%, anche se questo dato riguarda la frazione degli ammalati mentali più gravi.

Se accanto ai farmaci antidepressivi consideriamo il contributo dei farmaci per tutte le malattie del sistema nervoso centrale, inclusi antipsicotici e ansiolitici, sia quelli dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale che quelli acquistati dai privati, in Italia abbiamo una spesa globale di circa 3,3 miliardi di euro, al quarto posto dopo Germania, Austria e Francia.

Un altro gruppo di farmaci da prendere in considerazione sono i farmaci ansiolitici, le benzodiazepine e altri prodotti che, tuttavia, si utilizzano prevalentemente per dormire meglio e quindi non necessariamente riflettono - se non in piccola parte – un utilizzo per “disturbi mentali”. Anche per questi prodotti comunque il consumo non è molto aumentato negli anni, passando da 51,7 dosi/die ogni mille abitanti nel 2007 a 52,6 nel 2015.

Particolare attenzione si deve alla prescrizione di psicofarmaci negli adolescenti. Secondo studi condotti dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri per ogni mille adolescenti l’impiego degli psicofarmaci non è in realtà aumentato negli anni 2006-2011. Per quanto riguarda l’età che va dai 16 ai 18 anni sono più soggetti al trattamento con psicofarmaci le femmine rispetto ai maschi, in particolare per l’impiego di antidepressivi e antipsicotici. Si tratta comunque di un fenomeno preoccupante, perché è poco conosciuto l’effetto nel medio-lungo termine degli psicofarmaci in soggetti in cui le strutture cerebrali sono ancora in fase di sviluppo.

Per quanto globalmente i consumi degli psicofarmaci non siano così elevati in Italia rispetto ad altri Paesi, essi certamente rappresentano spesso un impiego improprio, fenomeno comune a tante altre classi di farmaci e che richiede una maggiore attenzione alla appropriatezza delle prescrizioni. È singolare che rispetto alla disabilità indotta dalle malattie mentali corrisponda una povertà nel campo della ricerca scientifica. 

Purtroppo, il programma del “nuovo” Governo dedica solo poche righe alla ricerca scientifica in deludente continuità con l’atteggiamento dei precedenti Governi. Sarebbe invece importante considerare che le malattie mentali e le rispettive terapie hanno bisogno di maggiori conoscenze per trovare trattamenti migliori e indicazioni più specifiche. L’attenzione dedicata alle malattie cardiovascolari e ai tumori, per quanto insufficiente, è maggiore rispetto a quella riservata alle malattie mentali, che rappresentano una situazione di maggior durata di disabilità.
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