Eni, Renzi blinda Descalzi: «Lo rinominerei»

Eni, Renzi blinda Descalzi: «Lo rinominerei»
di Claudia Guasco
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Sabato 13 Settembre 2014, 09:03 - Ultimo aggiornamento: 16:26
Il premier Matteo Renzi non ci ripensa. Sono felice di aver scelto Claudio Descalzi ceo di Eni. Potessi lo rifarei domattina. Io rispetto le indagini e aspetto le sentenze, la sua difesa via tweet del manager al vertici del gruppo petrolifero. E’ indagato per corruzione internazionale a causa di una presunta mega tangente da 1,092 milioni di dollari versata nel 2011 dall’Eni al governo nigeriano e secondo i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro avrebbe un ruolo centrale: «Si ritiene che Scaroni (ai tempi ad di Eni) e Descalzi (all’epoca capo della principale divisione di Eni, Exploration & Production) abbiano organizzato e diretto l’attività illecita».



AEREI E CARRARMATI

Non solo. Descalzi, scrivono i magistrati nell’integrazione di una rogatoria trasmessa a Londra lo scorso 26 maggio, «era anche in contatto diretto» con l’intermediario nigeriano Emeka Obi, mentre il faccendiere Luigi Bisignani «era il collegamento tra i vertici di Eni e gli intermediari Dinardo/Obi». Nelle intercettazioni agli atti il nome in codice di Descalzi era «baldy», in inglese «calvo», quello del manager Eni Roberto Casula «the number 3», l’ex ministro Etete era «fatty», il grasso, e Obi «the child», il bambino. La procura ha ricostruito i passaggi di denaro dal gruppo petrolifero al governo nigeriano e da qui alla società schermo Malabu, riconducibile all’ex ministro del Petrolo Dan Etete, ora i magistrati si concentrano sulla spartizione dell’ipotizzata tangente: 800 milioni sarebbero stati suddivisi tra politici e intermediari africani, gli altri 200 erano destinati a mediatori e manager italiani ed europei ma sono stati bloccati prima di arrivare a destinazione. «Le indagini sono pertanto dirette a identificare i reali beneficiari dei pagamenti - si legge nel documento inviato alla Corte inglese - indagando tra i molteplici trasferimenti verso una moltitudine di persone fisiche e giuridiche in diversi Paesi che hanno ricevuto somme di vario importo (da milioni di euro fino a poche decine di migliaia di dollari), o sono servite per l’acquisto di aerei e carrarmati». Come specificato nella rogatoria del 29 maggio, «un’enorme parte (523 milioni di dollari)» del denaro finito nelle casse della Malabu «è stato successivamente stornato a beneficio di Abubakar Alyiu, persona storicamente legata a pubblici ufficiali di livello elevato». Questa e altre operazioni, concludono i pm, «sollevano seri interrogativi e sembra ragionevole ipotizzare che siano state effettuate per scopi corruttivi».



PROMESSE A BISIGNANI

Fulcro dell’inchiesta è il supposto ruolo di intermediazione di Luigi Bisignani. «In nessun punto è stato sostenuto che vi sia stato pagamento a favore di Di Nardo e Bisignani. Le commissioni erano attese», rilevano i pm riportando una delle dichiarazione del faccendiere che ritengono «costituiscano una prova utilizzabile nei procedimenti italiani». Dice Bisignani: «Ci aspettavamo delle commissioni da Obi, in particolare che ci riconoscesse una parte dei compensi che avrebbe ricevuto da Etete. Io e Di Nardo avevamo svolto un ruolo nelle trattative e quindi ci aspettavamo un riconoscimento economico. Questo riconoscimento non poteva provenire da Eni, perché Eni non paga commissioni». Quanto al ruolo del gruppo petrolifero, per l’accusa «ha ottenuto un profitto dalla partecipazione alla corruzione». E «non si tratta di una ”asserzione implicita” ma di un fatto storico: il principale beneficio che Eni ha ricavato dalla partecipazione agli accordi corruttivi è stato l’ottenimento della concessione per lo sfruttamento del blocco 245 a condizioni molto favorevoli e, in ogni caso, senza una gara».



CIFRE COLOSSALI

I magistrati stanno riannodando i fili dell’ipotizzata «cospirazione fraudolenta» e gli accordi intercorsi per capire l’entità delle presunte tangenti che sarebbero spettate agli «italiani». Personaggio chiave è Etete, ritenuto «parte dell’azione delittuosa dal momento che il suo consenso alla vendita era obbligatorio per riuscire a definire l’affare illegale», oltre che «veicolo per la distribuzione di tangenti». L’ex ministro Dan Etete ha messo a verbale che i «destinatari» dei soldi - stando ai resoconti a lui fatti da Vincenzo Armanna, manager Eni, e dal mediatore africano Emeka Obi - sarebbero stati «sul fronte italiano (...) Scaroni (...) Descalzi, lo stesso Armanna» e anche Casula. E sempre basandosi a suo dire sui resoconti di Armanna, Etete ha riferito che i manager del gruppo si stavano adoperando per «portare fuori» dall’Eni una «cifra colossale».

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