La verità è che dei numeri in ballo per l’economia italiana futura importa poco a nessuno. I leader del Pd alla testa delle Regioni hanno usato la questione per un doppio fine politico. Dimostrare al Renzi segretario Pd che si può dimenticare di essere lui da solo a decidere per tutti. E rendere chiaro a Renzi presidente del Consiglio che lui potrà pure cambiare il Titolo V della Costituzione riaccentrando le competenze su scelte strategiche come l’energia a Roma, ma intanto se la Corte costituzionale autorizza questi referendum sul facile tema del no al petrolio i governatori lo sconfiggono, e il governo si scorda di riaccentrare tutto.
È insomma una classica partita politica italiana: in cui i fini contano cento volte più dei mezzi, l’interdizione e il veto esprimono il potere assai più della cooperazione, e l’indifferenza per le conseguenze sostituisce l’interesse nazionale. La sorpresa, piuttosto, è la capitolazione improvvisa e muta di Renzi. A questo punto, è fin troppo facile prevedere che il divieto di ricerca ed estrazione diverrà totale, esteso anche a terra. Il governo spiegava riservatamente ieri che con questo mossa comunque si pensa di poter difendere i progetti intanto partiti. Dei 107 progetti di ricerca già concessi, 23 erano su fondale marino e 41 quelli ai diversi gradi di esame dalla preistruttoria alla valutazione ambientale. Concentrati soprattutto nel mare Adriatico, al largo delle coste romagnole, abruzzesi e pugliesi, e nello Ionio di fronte alle coste pugliesi, calabresi e lucane.
Nel 2014 la produzione italiana di idrocarburi ha soddisfatto il 10% del consumo totale nazionale, per un totale di 11,7 milioni di tonnellate di petrolio, olio combustibile per 5,7 milioni di tonnellate equivalenti petrolio, e gas per 5,9mln di Tep. Ma le riserve ragionevolmente accertate italiane ammontano all’equivalente di 10 anni di tali estrazioni. Mentre quelle potenziali stimabili giungono fino a 700 milioni di tonnellate equivalenti petrolio, per la maggior parte al Sud e in Sicilia. Naturalmente gli ambientalisti negano le stime, dicono che gli idrocarburi sono di bassa qualità, ripetono che tanto le riserve sono limitate. La loro alternativa è importare tanto, e un bel falò annuale di miliardi del contribuente annui a favore delle lobby rinnovabiliste.
Né all’Italia intera né al Sud devastato da questi ultimi anni sembrano interessare le pingui royalties che resterebbero sui territori (del 10% per le estrazioni di idrocarburi a terra e in mare, e del 7% per il petrolio in mare), gli occupati nell’indotto, le infrastrutture di trasporto e di raffinazione da realizzare localmente se si percorresse la strada di aumentare l’indipendenza energetica nazionale, il reddito che tutto ciò genererebbe, e che cosa si potrebbe fare invece di meglio migliorando la bilancia commerciale e incassando più gettito da idrocarburi di produzione nostra.
Le Regioni hanno vinto la loro battaglia su Roma, i ras locali del Pd sul loro segretario. Questo solo conta, e sono le amare priorità di un Paese senza priorità vere.
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