TRE POLI IN LIZZA
Se guardiamo ai tre poli in lizza, nell’Opec essenzialmente l’Arabia Saudita asseconda la scommessa al ribasso per tre obiettivi. Uno sgambetto all’Iran - per sostenere il cui bilancio serve un barile a 100 dollari – contrastando le sue pretese di egemonia sciita nel medio oriente. Un altro a Mosca, che realizza oltre metà del suo bilancio pubblico dall’energia ed è già in pesante recessione per le sanzioni relative alla vicenda Ucraina, ma che paga caro il sostegno ad Assad in Siria. Il terzo è agli Stati Uniti: sotto i 70 dollari al barile inizia a scemare anche la convenienza dello shale gas e dello shale oil, la rivoluzione fossile da frantumazione idraulica delle scisti su cui marcia a pieno regime il traguardo dell’indipendenza energetica americana, la vera motrice della ripresa Usa, molto più della Federal Reserve. La Russia è entrata in pochi mesi in difficoltà serissime: il calo vorticoso del rublo per compensare il venir meno di export energetico e il deflusso di capitali non può durare a questi ritmi, vincoli sui capitali per impedirne l’uscita e il possibile salvataggio di gruppi finanziari sono già dietro l’angolo. Per gli Stati Uniti, il problema è soprattutto finanziario: metà dei 650 miliardi di dollari di esposizione a rischio delle grandi banche occidentali su oil e gas a prezzi ben superiori agli attuali sta in pancia a colossi finanziari americani.
OGNUNO PER SÈ
L’Europa depressa dovrebbe avvantaggiarsi del ribasso energetico (eccezione fatta per i produttori, UK e Norvegia). Non è così. Non ha una propria strategia, né di approvvigionamento né di bilanciamento geopolitico tra i tre poli. Ogni paese Ue ha perseguito proprie linee nazionali. La Francia con il nucleare se la ride. La Germania ha pipeline dirette con la Russia e tenta di tutelare i paesi est europei in cui ha pesantemente delocalizzato. Quanto all’Italia, nel 2013 il 35% dei suoi consumi energetici sono venuti dal petrolio, e il 34% da gas, il 18% da rinnovabili. Mentre Germania e Polonia utilizzano il carbone per oltre il 40% del fabbisogno elettrico, noi siamo sotto il 15%. Siamo enormemente dipendenti da paesi a rischio. Da Azerbaigian e Russia nel 2013 abbiamo importato oltre 10 milioni di tonnellate di petrolio ciascuna e 8,2 dalla Libia. Dalla Russia 30,3 miliardi di metri cubi di gas e dall’Algeria 12,4 cioè sommandole il 60% del nostro fabbisogno, il resto viene da Libia, Mare del Nord e solo l’8% è gas liquefatto, visto che sui rigassificatori si è abbattuto il veto ambientalista. La Russia è costretta a decisioni toste, come far saltare il South Stream che attraversava ilMar Nero aggirando l’Ucraina doveva raggiungere Balcani e Italia. Mosca non si può più permettere tubi per un gas a paesi che la sanzionano e che, soprattutto l’Italia, sono da anni in contrazione dei consumi elettrici. Per Putin continuare a rifornire Centro e Sud Europa passando per il nodo ucraino significa mantenere un pugno di ferro sul ricatto politico-militare. Per Eni e Saipem direttamente coinvolte nella partita South Stream, bisogna sperare che le clausole di salvaguardia finanziaria per diversi miliardi siano state ben contrattate, e che vengano puntualmente onorate. Veniamo alle conseguenze. Nessuno può immaginare che la risposta possa venirci dall’Europa, che al più serve a un piano di emergenza negli stoccaggi solidali se la Russia chiudesse improvvisamente il rubinetto. L’Italia se la deve sbrigare da sola. Deve perseguire apertamente i propri interessi nazionali, come hanno sempre fatto gli altri europei e come ieri ha giustamente detto al Messaggero il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.
RIPARTE VADO LIGURE
Farlo, significa mettere in conto alcune scelte pesanti.
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