Università: dottorandi senza futuro, posti crollati del 19%

Università: dottorandi senza futuro, posti crollati del 19%
di Camilla Mozzetti
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Venerdì 30 Maggio 2014, 19:12 - Ultimo aggiornamento: 21:23
Mi chiamo Serena R. sono una dottoranda di ricerca. Detta cos, sembra la frase d’esordio a una riunione degli alcolisti anonimi e in un certo senso lo è, perché in questo Paese non ho un domani». Sono le prime righe scritte da una delle tante ricercatrici italiane sul proprio blog. Un lavoro nelle università nazionali si può solo sognare e molti hanno perfino smesso di farlo. Una vita con il fiato sospeso, la loro, come ha raccontato anche il cinema, nel film di Costanza Quatriglio. I motivi? Molteplici. Dalla mancanza di opportunità per chi, terminato il dottorato, invece di essere assunto viene accompagnato alla porta, al sottofinanziamento del sistema accademico e, di conseguenza, all'assenza di un numero adeguato di borse di studio. È un rapporto a tinte scure, quello tratteggiato dall’Adi, l’Associazione italiana dottorandi, che fotografa l’immagine di un’Italia fanalino di coda rispetto ad altri paesi europei.



I DATI

Dal 2008 al 2014, i posti messi a bando per intraprendere una carriera accademica sono diminuiti del 19%, con il Sud e gli atenei di Molise, Basilicata, Campania, Puglia, Calabria e isole a registrare il trend peggiore: -38%. Le borse di studio sono scese del 16%, quando un ricercatore guadagna in media appena 1.027 euro al mese. Cosicché in Italia non è vero che ci sono troppi dottorandi al contrario. Ce ne sono troppo pochi. In tutto il territorio nazionale si contano 0,6 dottorandi ogni 1.000 abitanti, contro i 3,7 della Finlandia, i 3,1 dell’Austria e i 2,6 Germania. Un risultato inferiore a questo, in Europa, lo conseguono solo Spagna (0,5) e Malta (0,2). In più, considerato il trend di reclutamento dei ricercatori – a tempo determinato –, il 96,6% degli attuali 15.300 assegnisti rischia, negli anni immediatamente successivi al dottorato, di essere espulso dal sistema accademico. Ben l’86,4% non continuerà a fare ricerca dopo uno o più anni di assegno, solo il 10,2% uscirà dal mondo della ricerca dopo un contratto da ricercatore a tempo determinato di tipo A, mentre appena il 3,4% riuscirà a essere integrato. «Le università per formare questi potenziali docenti – fa di conto il presidente dell’Adi, Antonio Bonatesta – spendono in media 140 mila euro». A tutto questo si aggiunge,poi, l’elevato tasso di migrazioni da parte dei dottorandi in altri paesi dell’Unione europea e in università al di là dell’Atlantico. «Perché i ricercatori italiani sono bravissimi – prosegue Bonatesta – purché impegnati fuori dai confini nazionali».



LE CRITICITA’

A detta dell’Adi uno dei principali problemi che attanagliano la categoria, riguarda lo stuatus giuridico del ricercatore: Il dottorando è considerato uno studente per quanto riguarda i diritti, ma è assimilabile a un lavoratore per i doveri. E in prospettiva, l’associazione evidenzia tre criticità alle quali il ministero dell’Istruzione e il governo dovrebbero porre rimedio quanto prima. «Rifinanziare le università, sbloccare il turn over, fermo al 2008, e – conclude Bonatesta – cercare di utilizzare questi ricercatori anche nella pubblica amministrazione e nel terziario».



IL MINISTERO

In realtà qualcosa sembra muoversi dal ministero dell'Istruzione. Lo scorso aprile, infatti, il dicastero ha licenziato il decreto sulle linee guida per l'accreditamento dei dottorati. Tra le novità principali, figura la possibilità – non prevista in passato – di svolgere il dottorato anche in azienda. Segue poi, la possibilità per quei ricercatori sprovvisti di una borsa di studio, di poter svolgere un'attività lavorativa extra, a patto, però, che non vada a incidere sull'impegno universitario. Il decreto contempla, infine, un vincolo relativo alle borse di studio. Il numero di quest'ultime, infatti, deve essere pari al 75% dei posti disponibili per la ricerca negli atenei italiani e il 10% dei finanziamenti assegnati ad ogni borsa deve essere utilizzato dal dottorando esclusivamente per svolgere la ricerca.