Dj Fabo, Cappato: la politica spinge chi soffre sulla via dell'esilio

Marco Cappato
di Cristiana Mangani
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Martedì 28 Febbraio 2017, 09:00
Si presenterà questa mattina al Palazzo di giustizia di Milano per autodenunciarsi. Per chiarire ai magistrati le ragioni della sua scelta, ma anche per spiegare in che modo Fabiano Antoniani, è stato portato alla morte. Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, ha raccolto sensazioni, emozioni, desideri di dj Fabo, è diventato suo confidente e amico. E' stato lui stesso a chiedergli di accompagnarlo in Svizzera. E ora, come era già avvenuto per il caso di Giorgio Welby o di Eluana Englaro, ne risponderà in prima persona, rischiando fino a 12 anni di carcere. «Ma l'ho fatto e lo rifarei - dice - perché la politica deve comprendere che il vuoto normativo porta all'illegalità».

Fino a che punto è giusto recarsi all'estero per morire?
«L'esilio della morte è una condanna incivile. Compito dello Stato è assistere i cittadini, non costringerli a rifugiarsi in soluzioni illegali. La politica questo deve capirlo. Chiediamo che il Parlamento affronti la questione del fine vita per ridurre le conseguenze devastanti che il vuoto normativo ha sulla pelle della gente».

Il caso di Fabiano potrà aiutare a trovare una soluzione?
«Siamo in piena zona nera fatta di clandestinità e soprusi. La strada è semplice: sostituire l'eutanasia clandestina con l'eutanasia legale. L'opinione pubblica è pronta, il Parlamento meno, ma almeno non ci si imbrogli con la guerra delle definizioni».

Legge sull'eutanasia ma anche sul testamento biologico, a che punto stanno?
«Venerdì scorso è slittata per la terza volta la proposta per il testamento biologico e la discussione è stata rimandata a marzo. Le proposte di legge sull'eutanasia sono invece bloccate da circa un anno in commissione. E' stato proprio di fronte al nuovo rinvio che Fabiano ha deciso di recarsi in Svizzera. Mi diceva: È veramente una vergogna che nessuno dei parlamentari abbia il coraggio di mettere la faccia su una legge che è dedicata alle persone che soffrono, che non possono morire a casa propria. E che devono andare in altri paesi, quando tutto questo potrebbe essere fatto in Italia. Ormai siamo rimasti solo noi e l'Islanda a non avere una regolamentazione sul fine vita».

Qual è il vero freno all'approvazione: politico, sociale, religioso?
«E' principalmente un problema politico. Sono passati 40 anni da quando Loris Fortuna ha presentato la prima legge, e da allora non è stato fatto alcun passo avanti». 

Il sentimento religioso e la chiesa quanto hanno inciso?
«Certamente parecchio, ma ora i tempi sono cambiati. Prima la Chiesa aveva un forte peso sulla politica. Ora Papa Francesco, pur ribadendo la sua contrarietà all'eutanasia, non interviene sui partiti e sulle loro decisioni. E ci sarebbe anche la maggioranza in Parlamento, ma alla fine il momento per approvare la legge non sembra mai buono, e intanto gli anni passano».

Un aiuto sembra arrivare dai Tribunali. Sia nel caso di Welby che in quello della Englaro, i giudici hanno scelto di non procedere con le contestazioni penali, è stato un modo per lavarsene le mani?
«No, è solo perché non c'è chiarezza sulla questione. E non essendoci una regolamentazione, la giurisprudenza è stata favorevole. L'unico atteggiamento che ha la politica italiana è quello del silenzio. Non c'è stata risposta anche ai tre video che Fabiano aveva inviato al Parlamento e al presidente della Repubblica. Questa situazione è intollerabile. Nei prossimi giorni ci sarà una riunione dei capigruppo e ancora una volta tutto verrà rinviato».

Cappato, c'è poi l'elemento personale e umano. Come ha vissuto la vicenda di dj Fabo e quella, prima di lui, di un'altra persona che aveva scelto di morire e che ha accompagnato in Svizzera?
«Io penso che se non ci fosse una volontà reiterata, un desiderio certo, non sarebbe qualcosa di sostenibile. Ma se la persona lo chiede in tutti i modi, lo ripete, ritengo doveroso dargli una mano. Fabiano rendendo pubblica la sua storia, ha fornito un enorme aiuto al paese per riflettere. Non pensiamo assolutamente che lui debba essere un modello, ma ognuno deve poter essere libero di scegliere di vivere, così come di morire».
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