Se il diritto di critica sfocia nell'incitamento all'odio

Matteo Salvini
di Ginevra Cerrina Feroni*
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Giovedì 19 Luglio 2018, 18:22 - Ultimo aggiornamento: 20:11
È difficile ricordare un tale concentrato di smisurati paragoni, di risibili esagerazioni, di attacchi forsennati fino alla psichiatrizzazione del nemico come quello in atto contro il nuovo Governo. Specificamente contro Matteo Salvini, nella sua carica istituzionale di Ministro dell'Interno e di Vicepresidente del Consiglio. Si azzardano paralleli grotteschi tra questa situazione politica e quella del nazi-fascismo, tra la questione dei migranti e l'olocausto (Oliviero Toscani), si assimila Salvini a Hitler e a Mussolini (Luigi De Magistris) o al nazista sterminatore Eichmann (Furio Colombo). E per non essere da meno, anche noti philosophes, attivissimi nel talk show, abbracciano lo stesso registro.

La cosa è seria. Anzitutto, perché fa emergere un'insofferenza profonda per il gioco della democrazia e delle sue alternanze. Che chi non è d'accordo esprima tutto il suo dissenso è normale, ci mancherebbe altro; ma, davanti ai fatti e non a un immaginario simbolico accostato a sproposito. Altrimenti non è più dialettica democratica, è altra cosa. Qui la violenza verbale ha avuto inizio ancor prima che il Governo fosse entrato in funzione e prima che lo si potesse giudicare sulla base dell'operato. Preoccupa che questa metodologia di attacco, combinata alla crescente deculturazione dell'uditorio, possa avere effetti dilanianti sulla dialettica democratica e possa istigare qualche sprovveduto alla violenza.

Di certo, la libertà di manifestazione del pensiero, di cui all'art. 21 della Costituzione, è la pietra angolare del sistema democratico. Ma la diffamazione delirante cosa vi ha a che vedere? Può essere contrabbandata con il diritto di critica che segna l'alveo della prima delle libertà? La storia della democrazia liberale ci insegna che no, che c'è sempre il limite della diffamazione e della calunnia. L'onore e la reputazione sono diritti inviolabili della persona, non meno della libertà d'espressione. E le istituzioni della democrazia, che sono quelle che corrispondono alla volontà degli elettori e non di pretese e fantomatiche élites, meritano non meno, perché lo merita la democrazia stessa.
Ecco il punto allora, dov'è l'equilibrio? Questi eccessi smodati ci domandano di domandarcelo. Se è indubbio che limiti eccessivi al dibattito delle idee provocherebbero un chilling effect, un soffocamento (G. Vigevani, in Federalismi, 2015) della garanzia delle garanzie qual è, appunto, la libertà di espressione, nondimeno va guardata in termini critici la tendenza di una certa giurisprudenza, specie quella di Strasburgo, che pare orientata verso la dilatazione senza confini dei margini del diritto di critica. Ben oltre la sua vitale ragion d'essere. Sicuro, la critica può essere anche aspra, irriverente o a forte impatto emotivo, quando il soggetto verso il quale essa si rivolge è un protagonista delle istituzioni (vedi le sentenze della Corte europea sul caso dell'ex Governatore della Carinzia, J. Haider, 1° luglio 1997, o sul recente caso dei Reali di Spagna, 24 maggio 2018). Anzi, è proprio verso chi detiene il potere che è consentito il più ampio diritto di critica.

Ma qui, oggi, verso la figura del Ministro dell'Interno è un'altra storia. Qui si è lontani dal diritto di critica, dai suoi confini naturali della proporzionalità e della ragionevolezza, vistosamente sormontati. Come accostare la drammatica realtà del problema dei migranti nel Mediterraneo - eredità pesante per questo Governo - con l'Olocausto? Che cosa dobbiamo pensare quando un intellettuale colto e raffinato perde la misura e paragona il Ministro al più noto dei condannati a morte per genocidio?

Affermazioni di tale impatto non sono, esse stesse, pericolose forme d'incitamento all'odio? Spetterà ai giudici valutare se tali affermazioni rientrano nell'alveo del consentito e del lecito. Ma aldilà delle questioni giuridiche, sulle quali è doveroso continuare a riflettere, colpisce che, pur dopo settant'anni, non mostriamo di essere divenuti una democrazia matura, dove chi con le elezioni riceve il mandato del popolo va al Governo e lì va giudicato sulla base dei risultati che raggiunge. E chi, invece, resta opposizione ha il pieno diritto di fare opposizione, anche la più dura, ma con senso di realismo e di rispetto civile nei confronti degli avversari. L'alternanza al Governo è l'essenza di ogni democrazia.

Ci pare allora necessario che si abbandoni la logica di una contrapposizione distruttiva e di un avversario politico rappresentato come demonio da esorcizzare. Di questo il nostro Paese ha un grande bisogno. Non è detto che ci riusciremo.
*Ordinario di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato
Università di Firenze

 
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