Dell'Utri, la moglie: «Arresti domiciliari in ospedale non sono vacanza»

Marcello Dell'Utri
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Martedì 12 Dicembre 2017, 22:41 - Ultimo aggiornamento: 13 Dicembre, 13:02
«Chiedere gli arresti domiciliari in una struttura ospedaliera non significa andare in vacanza per il periodo di Natale, significa che deve entrare in ospedale per curarsi». Lo ha affermato Miranda Ratti, moglie dell'ex senatore Marcello Dell'Utri, intervistata a Matrix. «A Rebibbia - ha proseguito la donna - esiste un reparto di infermeria il cui medico responsabile ha redatto ben due istanze, una a fine ottobre e l'altra a metà novembre, in cui dice che le condizioni di salute di mio marito sono particolarmente gravi da richiedere costanti contatti con i presidi territoriali, che non risulta compatibile con il regime carcerario».

Secondo Miranda Ratti «la Magistratura è un pò schizofrenica» perchè ad alcune persone malate dice sì ad altri no: «lo stesso Tribunale di sorveglianza di Roma per un altro detenuto di Rebibbia che aveva esattamente la stessa patologia da adenocarcinoma prostatico di mio marito, senza avere tutte le altre complicazioni che ha mio marito, a questa persona è stato concesso il ricovero ospedaliero perché dice che queste cure di radioterapia non possono essere fatte in carcere». «Mio marito - ha aggiunto la donna - ha trascorso in carcere tre anni e otto mesi, ma tenuto conto delle riduzioni, lui ha fatto molto più della metà della pena e gli mancherebbe credo un anno.
In più non c'è rischio di pericolosità, non c'è rischio di niente, e non è neanche vero che per i reati di mafia non concedono i domiciliari. Ne sono certissima perché c'è un provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia di un condannato al 41bis che siccome stava male, giustamente gli hanno dato la detenzione domiciliare in un ospedale per curarsi». «Io spero che succeda qualcosa», ha concluso Miranda Ratti che ha anche voluto ringraziare il senatore Manconi, presidente della Commissione dei Diritti Umani «che si è esposto dicendo che questa carcerazione è una vergogna».
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