Concordia, Schettino accusa i suoi sottoposti: «Sulla nave dopo Dio ci sono io», ma rischia 20 anni

Concordia, Schettino accusa i suoi sottoposti: «Sulla nave dopo Dio ci sono io», ma rischia 20 anni
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Mercoledì 3 Dicembre 2014, 13:08 - Ultimo aggiornamento: 4 Dicembre, 13:10

​Schettino sotto torchio anche oggi al processo di Grosseto, eppure, come ha detto lui stesso al pubblico ministero, quando comandava era «il primo dopo Dio» sulla nave, anche sulla Concordia, e anche nel mare del Giglio la sera del naufragio il 13 gennaio 2012. Schettino si è difeso anche così, non solo esaltando la sua perizia di navigatore ma rivendicando il suo ruolo. «Io come comandante sono il primo dopo di Dio», ossia le decisioni sono tutte sue e gli altri devono obbedire.

Il pm Alessandro Leopizzi lo ha interrogato sette ore, mettendo in fila, dopo la prima parte di ieri, le tante e gravi accuse che lo riguardano.

Tra queste «perchè lei, Schettino, tardò a dare il segnale di emergenza generale?», ha domandato il pm. «Volevo far arrivare la nave più possibile sotto l'isola - ha risposto l'imputato - Altrimenti se avessimo dato i sette fischi brevi e uno lungo, con le vibrazioni che c'erano state, la gente si sarebbe tuffata in acqua», mentre la Concordia scarrocciava ancora in mare aperto. «Ho atteso a dare l'emergenza generale, me ne prendo la responsabilità», ha spiegato perchè «sapevo esattamente i tempi di scarroccio della nave, io conoscevo bene la Concordia, volevo che si avvicinasse all'isola per dare l'emergenza generale.

Il danno era ormai fatto. Andava mitigato». Il pm Leopizzi ha comunque insistito molto sul ritardato allarme anche perchè la nave aveva i locali motore allagati, non aveva più propulsione, il generatore d'emergenza era ko: tutte cose che Schettino seppe presto. E quando ha chiesto degli annunci vocali rassicuranti fatti dare dal personale ai croceristi terrorizzati, Schettino ha risposto: «L'ho fatto per tranquillizzare le persone, temevo il panico. Non erano mica su un ottovolante». Il pm ha chiesto perchè non avvisò la capitaneria (è un altro reato) e invece si limitò a far dire che c'era un black out. È qui che Schettino tira in causa Roberto Ferrarini, il capo dell'unità di crisi della flotta di Costa quella sera, un altro dei co-indagati con Schettino che ha patteggiato: «Mi disse 'Chiamo io la capitanerià, mentre io feci chiamare la capitaneria di Civitavecchia cui do il mio cellulare, sempre nella consapevolezza che la nave rimanesse a galla con tre compartimenti allagati come mi era stato detto» e «per chiamare i rimorchiatori». Ma il pm: «Non chiese via radio i rimorchiatori, voleva risparmiare sul costo?». «Via radio no, perchè avrebbero sentito tutti, volevamo un profilo basso», comunque «io non ho privilegiato la nave rispetto alle vite umane.

Il prezzo l'avrei concordato dopo». E l'abbandono nave, perchè non lo ordinò? «Dissi 'mettere a mare le scialuppè e non 'abbandonare la navè per indorare la pillola, perchè non volevo che aumentasse la tensione». A fine udienza si parla di un altro abbandono, quello suo, mentre c'erano ancora passeggeri da salvare a bordo. Il pm Leopizzi ha mostrato il video allegato dalla procura qualche giorno fa agli atti del processo. Ma Schettino non si è riconosciuto nell'uomo in giacca e cravatta che attende al ponte 3 della Concordia, inclinata, nelle fasi di evacuazione. «Se indossa una giacca, non sono io. Se è una giacca a vento tipo slam, sì», ha detto al pm dicendo di non riconoscersi in quella figura. «Se ci sono delle stellette non è la mia giacca», ha aggiunto riferendosi a due punti lucenti visibili sul capo di abbigliamento. Concede solo: «Per il taglio dei capelli e per la corporatura potrei essere io». Dubbi. Il presidente Giovanni Puliatti ha incaricato il pm di fare un ingrandimento del video e ha aggiornato l'interrogatorio all'11 dicembre.

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