Cocoricò, rivolta contro lo stop. La Finanza indaga per evasione

di Antonio Galdo
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Lunedì 3 Agosto 2015, 23:28 - Ultimo aggiornamento: 4 Agosto, 00:02
Da 25 anni tiene sotto scacco governo e Parlamento. La potente lobby delle discoteche è sempre riuscita a impedire l’approvazione di una legge con regole più stringenti sia sugli orari di apertura sia sulla vendita di superalcolici. Con il risultato che oggi l’industria del divertimento notturno si presenta con una doppia identità e alcune questioni da affrontare.

Da un lato una florida attività economica, dall’altro versante una sorta di zona grigia dove i controlli, dallo spaccio di droga al lavoro nero dei dipendenti, sono molto scarsi. Quasi inesistenti. La linea di confine tra un’industria lecita, che non è né giusto né utile criminalizzare, e la quantità di affari illegali che invece si nascondono nelle sue pieghe, è diventata molto sottile. E la politica ha piegato la testa, di fronte agli interessi, compresi quelli opachi, dell’universo delle discoteche.









Ricavi e addetti. Sulla carta, le discoteche regolarmente iscritte alle Camere di Commercio sono meno di 3mila, nella realtà diventano circa 10mila. La differenza è data dall’enorme bacino del sommerso, dove bisogna comprendere anche ristoranti, bar, stabilimenti, e locali di varia natura che fanno ballare i ragazzi, vendono biglietti di ingresso e alcolici, senza le necessarie licenze. Spesso riescono a mascherare gli incassi attraverso fittizie associazioni ricreative. Da qui, ai ricavi ufficiali attorno ai 7 miliardi di euro, che pure non sono pochi, bisogna aggiungere le entrate in “nero”, di certo superiori. Stesso discorso per i dipendenti: gli addetti del settore sono 60mila, ma il lavoro “nero” è una pratica molto diffusa, anche utilizzando gli stessi clienti. Sono loro, i ragazzi, che si trasformano in acchiappaospiti, pronti a dirottare nelle discoteche le varie tribù giovanili, e ricevono una percentuale sui biglietti (di solito è il 10 per cento). Tutto senza lo straccio di una ricevuta e un euro di contribuzione.

La lobby in Parlamento. Da un quarto di secolo, si prova a disciplinare, stringendo i bulloni, l’industria del ballo, o sballo, notturno . Inutilmente. Il primo tentativo risale al governo Andreotti del 1991, quando l’allora sottosegretario Nino Cristofori riuscì a fare approvare in Consiglio dei ministri un decreto sulle discoteche: il tentativo naufragò grazie a una sentenza del Tar del Lazio. Quasi dieci anni dopo, toccò al governo D’Alema provarci: ma il disegno di legge, una volta arrivato in Parlamento non fu mai calendarizzato per una votazione finale. Passa un altro decennio, e il governo Berlusconi viene battuto in aula, per un solo voto, su una legge che restringeva gli orari. Chiusura limite alle quattro del mattino, divieto di accesso per i minorenni dopo l’una e mezzo di notte, fine della vendita di alcolici alle tre: proposte ragionevoli, ma non gradite alla lobby delle discoteche e così rispedite al mittente.



Chi protegge le discoteche. A una lettura superficiale del potere dei gestori delle discoteche potrebbe sembrare che ciò derivi dall’enorme numero di persone, oltre 5 milioni, che ogni anno entrano in questi locali, e dal fatto che il 70 per cento di loro sono giovani ventenni. Non è così. Il potere delle discoteche è direttamente collegato a un banale, e per questo inossidabile, rapporto con l’elettorato. Quasi il 40 per cento delle discoteche sono concentrate in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. Ecco perché qualsiasi proposta legge subisce un doppio veto da parte dei parlamentari leghisti delle regioni del Nord e dei rappresentanti della sinistra che in Romagna ha una sua, storica roccaforte. Una tenaglia bipartisan, insomma. Le recente chiusura per 4 mesi del Cocoricò a Riccione, definita nell’ordinanza «una centrale di droga e sesso» è stata decisa dal questore di Rimini con il pieno avallo del ministro degli Interni, Angelino Alfano. Ma la voce più forte di protesta contro la misura adottata è arrivata proprio da un compagno di partito di Alfano, Sergio Pizzolante, eletto nella zona di Rimini.



I gestori non ci stanno. Se una discoteca si trasforma in una zona franca sul piano della legalità, ne subiscono danni non solo i frequentatori, ma anche i gestori che rispettano le norme, in teoria onerose e complesse. «La verità è che ci hanno lasciati soli, e siamo diventati un perfetto capro espiatorio di un dramma che colpisce innanzitutto le nostra attività» protesta Maurizo Pasca, presidente della Silb, l’associazione italiana dei locali da ballo «Personalmente sono favorevole a forze dell’ordine all’ingresso delle discoteche, al posto dei buttafuori, con cani antidroga, e vieterei l’accesso ai minori di 18 anni. Le basta?» A me sì, ma è sicuro che questa posizione sia condivisa da tutti i suoi iscritti? «Non lo so, ma se continua così ho paura che di locali chiusi per mesi ne vedremo ancora molti…».



Lo Stato si arrende. L’imprevista richiesta del presidente Pasca pone un problema evidente: leggi non se ne fanno, e sul campo dei controlli nelle discoteche c’è il vuoto. D’altra parte questa funzione, che era stata assegnata al Dipartimento antidroga del governo, è stata di fatto cancellata e parzialmente trasferita ad altri organismi. In particolare è stato appena avviato un piano sperimentale, per appena tre mesi, di controlli antidroga affidati alla Polizia stradale. Ma siamo a numeri insignificanti, e comunque a verifiche distanti dalla zona delle discoteche. Finora su 6mila persona controllate, in appena 19 città italiane, il 10 per cento è risultato sotto effetto di stupefacenti. Per avere un parametro di un servizio analogo, basta pensare che i controlli antialcol della stessa Polizia stradale sono ormai quasi 1 milione l’anno (erano 200mila dieci anni fa). E grazie all’azione di prevenzione sul territorio i morti per le stragi del sabato sera sono passati da 1.000 a 300 l’anno. Un risultato di tutto rispetto.



La variabile culturale. Nella resa dello Stato, non possiamo nasconderlo, ha un peso determinante una nuova cultura, ormai maggioritaria nel Paese, che spinge fino alla legalizzazione delle droghe. Si spiega così lo svuotamento del Dipartimento antidroga, l’archiviazione dei protocolli d’intesa tra ministeri degli Interni e della Salute e gestori delle discoteche per controlli condivisi (anche attraverso forze dell’ordine infiltrate all’interno dei locali), la proposta di legge bipartisan per liberalizzare la cannabis. Tutto si tiene. E il conto lo pagano i ragazzi, le loro famiglie, e anche i titolari onesti di un’attività chiamata divertimento notturno e trasformata, in troppi casi, in una mortale movida di droga e sesso.