Serve chiarezza/Opaca politica estera dei “non governativi”

di Marco Gervasoni
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Lunedì 1 Maggio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:06
Siamo sempre pronti, noi italiani, a dividerci in fazioni contrapposte. In questi giorni si parla molto di un’opposizione tra un partito pro e uno schieramento anti Ong. Il primo, secondo un sondaggio, sarebbe in minoranza, visto che il 48% degli italiani «non si fida» delle Organizzazioni non governative (mentre il 18% non si è espresso). Merito (o colpa, a seconda di come la si pensi) del soccorso dei migranti in mare organizzato da queste associazioni, che si spingono sempre più vicino alle coste libiche per recuperare i gommoni fatiscenti (non esattamente taxi) pieni di disperati. 

IL CONTRIBUTO
È indubbio infatti che, ai 200 sbarchi giornalieri in media (67% in più rispetto allo scorso anno) le Ong stiano fornendo un contributo fondamentale. Per questo, come ha scritto su queste colonne Carlo Nordio, la procura di Catania si sta giustamente interrogando sulla credibilità di alcune di loro. Si è discusso di soldi che dagli scafisti finirebbero ad alcune di queste organizzazioni, di oscuri finanziatori interessati, per destabilizzare il paese, a provocare un picco di flussi, a legami tra alcune Ong e grandi agenzie assicurative. Il tema però è troppo serio perché se ne discuta alzando un polverone che in pochi giorni passerà senza portare a nulla.

Né è possibile che gli iscritti al partito pro Ong delegittimano i critici accusandoli di scarso cuore, di insensibilità e magari di xenofobia. 
Nessuno, qui, ha il monopolio della moralità. Il ruolo delle Ong non solo è encomiabile: è indispensabile. Ma, diversamente da quanto ritiene qualche esponente politico, non è la magistratura che se ne deve occupare, ma la politica. Il ruolo delle Ong è discusso da anni negli studi di politica internazionale: leggendoli, si evince che esse non si limitano ormai più all’assistenza, impongono agende, priorità e nei fatti una politica estera parallela, ma spesso alternativa, a quella degli Stati sovrani. Il loro essere non governative consente infatti di muoversi con maggiore agilità, proprio nelle situazioni di crisi, di guerra e di emergenza, laddove non possono, per ovvie ragioni, arrivare gli eserciti legittimi.

E’ tuttavia evidente che nessuno Stato che si voglia sovrano può permettere che la sua politica estera e, nel caso nostro, anche quella interna (visti gli effetti dell’immigrazione) siano dettate da organizzazioni di privati cittadini, per quanto meritevoli. Una politica decisa da poche persone e non dagli italiani. Per quanto riguarda l’immigrazione, è nota poi l’esistenza di Fondazioni internazionali che perseguono il disegno politico dei no borders, di eliminazione delle frontiere. Progetto a nostro avviso sbagliato ma legittimo, se solo volesse misurarsi al confronto con il corpo elettorale. Mentre, nel nostro caso, inevitabilmente le Ong stanno creando dei corridoi umanitari in cui far transitare i migranti, in contrasto con le decisioni e gli accordi del nostro governo, e con quelli della Unione europea. 

PROBLEMI DIPLOMATICI
Del resto, le Ong sono state all’origine già nel vicino passato di problemi diplomatici e di disappunto di diversi esecutivi: dopo l’11 settembre alcune Ong di ispirazione islamica e i loro finanziamenti non proprio trasparenti, più di recente alcune organizzazioni operanti in Crimea (e messe nel mirino di Putin), mentre proprio pochi giorni fa il premier israeliano Netanyahu si è rifiutato di ricevere il ministro degli esteri tedesco, reo di aver incontrato una Ong operante nel territori palestinesi e accusata dal governo di Tel Aviv di «minare la sicurezza di Israele». «Quando la virtù non basta», si intitolava un lavoro scientifico pubblicato nel 2012 da Oxford University Press sulla «responsabilità» delle Ong e su come discernere quelle affidabili dalle altre. La virtù, per l’appunto, non è sufficiente. E se è nella natura degli Stati autoritari impedire alle Ong di operare, deve invece esser proprio dei governi liberali e democratici trovare il modo di regolarle. Un compito proprio del legislatore e non dei magistrati.
 
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