Mossa di Appendino/ Due madri in casa per lo stesso bimbo, l’ha deciso il sindaco

di Oscar Giannino
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Martedì 24 Aprile 2018, 01:14 - Ultimo aggiornamento: 01:16
Ieri il sindaco di Torino, Chiara Appendino, ha dato seguito a quel che aveva promesso, e ha trascritto all’anagrafe gli atti di nascita di alcuni bimbi di coppie omogenitoriali. Il fatto rilevante in sé non riguarda tanto la trascrizione di atti di nascite all’estero, su cui già si era già pronunciata la magistratura. 

Magistratura che ha esaminato favorevolmente diversi casi a cominciare dal 2015. Quanto la nascita di un bambino nato in Italia, che risulterà per la prima volta fin dalla nascita come figlio di due madri. È una forzatura delle norme di legge attualmente vigenti. E la Appendino tanto lo sa per prima che ha espresso l’auspicio che questo suo gesto serva a indurre il legislatore a porre riparo a un buco esistente nella legge sulle unioni civili, la 76 del 2016. Naturalmente tutte le forze politiche favorevoli al riconoscimento pieno dei figli di coppie omosessuali hanno giudicato positiva la scelta della Appendino. Mentre la destra ha sparato a zero, accusandola anche di legittimare così la pratica dell’utero in affitto, come sfruttamento delle donne in difficoltà economica. 

Qual è il buco normativo? Nasce dal fatto che all’approvazione della legge sulle unioni civili si giunse rammendando volutamente senza troppa chiarezza alcuni ponti che spaccavano trasversalmente il Parlamento. La legge 76/2016 garantisce alle coppie dello stesso sesso il diritto di ottenere il riconoscimento dell’unione e uno status analogo a quello coniugale. Le unioni civili costituiscono un istituto distinto dal matrimonio, ma allo stesso tempo condividono con il matrimonio i tratti essenziali, in materia di relazione interpersonale e di rilevanza nei confronti dei terzi e della collettività.

Ma la principale differenza rispetto al matrimonio riguarda proprio i figli, poiché il testo definitivamente approvato non prevede più la possibilità esplicita inizialmente prevista che il partner possa automaticamente adottare il figlio dell’altro, secondo quando dispone per il coniuge la legge generale sull’adozione, la 184 del 1983. E’ questa la cosiddetta stepchild adoption, di cui gli estremi ricorrono nel caso torinese. Ma allo stesso tempo la legge sulle unioni civili ha lasciato una finestra aperta. Se l’assenza esplicita dell’adozione piena e legittimante per coppie omogenitoriali è esclusa, il comma 20 dell’articolo 1 recita che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». Dunque si consente però quanto previsto dall’articolo 44 della legge 184/1983, e cioè quattro casi di adozione «in casi particolari» che devono essere valutati sempre dal Tribunale, nei casi in cui si debba favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già si prendono cura del minore stesso, prevedendo la possibilità di un’adozione con effetti più limitati rispetto a quella legittimante. 

La giurisprudenza negli anni ha dato interpretazioni più ampie della lettera iniziale delle quattro fattispecie. E già la Corte Costituzionale nella sentenza 145 del 1969 aveva concluso che l’adozione non era tenuta al principio dell’imitatio naturae, ergo poteva dedursi che la norma anche della legge 184 del 1983 sulle adozioni «per casi particolari» non potesse né dovesse discriminare tra coppie eterosessuali o omosessuali. 
Tuttavia altro è riconoscere lo stato di fatto esistente da anni di un minore con chi se ne prende cura da tempo, fossero anche due uomini o due donne, altro è garantire il pieno diritto alla stepchild adoption all’atto di nascita , come avviene ora a Torino. Anche se per la Corte Europea dei diritti dell’uomo le unioni omosessuali rientrano orami a pieno titolo nel novero dei modelli familiari. In particolare, a partire dalla sentenza del 24 giugno 2010,  la Corte Europea ha affermato che la relazione di una coppia omosessuale rientra nella nozione di “vita privata”, nonché di quella di “vita familiare”. Nozione poi confermata da altre sentynze della Corte Europea, per le quali la nozione di “famiglia” non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio e può comprendere altri legami “familiari” di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo del matrimonio. In quest’ottica, il figlio nato da tale relazione è ipso iure parte di quel nucleo “familiare” dal momento e per il fatto stesso della nascita.

Tuttavia, nel nostro ordinamento in più sentenze la Corte Costituzionale ha ribadito che da una parte anche una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto rientrerebbe nella nozione di “vita familiare”. Ma senza tuttavia dimenticare che non ci si può dimenticare la inequivoca previsione contenuta nel comma 1 dell’art 29 della Costituzione, che non si basa solo sulla famiglia, ma anche, e soprattutto, sulla “famiglia come società fondata sul matrimonio”, cioè esclusivamente tra coniugi di sesso diverso. Quindi come si vede resta un doppio baco: tra le disposizioni generali della legge sulle unioni civili che escludono l’adozione legittimante per persone dello stesso sesso ma aprono a quelle “per casi particolari”; e tra il dettato costituzionale della famiglia basata su coniugi di sesso diverso, e la tutela preminente del minore come faro prioritario posto dai casi di adozione a fini particolari.

Ecco perché dal 2016 le ambiguità del legislatore hanno finito per trovare risposta nella solita azione di supplenza della magistratura, che in numerose sentenze ha valutato lei a chi dire sì e a chi no. Con pronunzie quasi sempre impugnate davanti alla Corte Costituzionale, che finora ha di fatto esteso ulteriormente la testuale applicazione dell’articolo 44 della legge sulle adozioni “per casi particolari”. Per questo in particolare si è già detto sì alla trascrizione degli atti di nascita esteri di bimbi di due donne, l’una con l’apporto del proprio ovocita e l’altra con la gravidanza ed il parto.

Ma il problema posto ora dalla Appendino riguarda una questione essenziale: se per giurisprudenza abbiamo riconosciuto l’adozione dei nati da coppie omogenitoriali all’estero, non si vede perché limitare questa scelta solo a chi i denari per farlo fuor dall’ Italia. Diciamo le cose come stanno: sarebbe mille volte meglio che su questioni essenziali di questo tipo si pronunciasse con chiarezza il legislatore, invece di affidarci alla discrezionale supplenza evolutiva della magistratura. E’ la classica riprova di una politica non all’altezza, che preferisce urlare nelle piazze e produrre poi testi ambigui buoni a tutti gli usi.
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