I rapper della Jihad e quel foreign fighter "nostrano" che somiglia tanto a Cherif Kouachi

I rapper della Jihad e quel foreign fighter "nostrano" che somiglia tanto a Cherif Kouachi
di Giulia Aubry
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Venerdì 9 Gennaio 2015, 14:07 - Ultimo aggiornamento: 21:30

Vobarno, il paese in provincia di Brescia situato nella Valle Sabbia con i suoi poco più di 8.000 abitanti, non somiglia in alcun modo alle banlieue del X arrondissement dove sarebbero cresciuti i fratelli Kouachi. Eppure a leggere la storia di Cherif Kouachi, il terrorista tutto kalashnikov e rap, ritenuto responsabile del massacro alla redazione di Charlie Hebdo, non si può fare a meno di notare le somiglianze, o le equivalenze per usare un termine matematico che meglio sembra adattarsi al contesto, con la vicenda di uno dei “nostri quattro” foreign fighters.

Anas al Aboudi, che sui social media e nel web preferisce farsi chiamare Anas al Italy – Anas l’italiano - utilizzando lo stile dei vari al Baghdadi, a detta di chi a Vobarno lo conosceva, non amava frequentare la moschea o i gruppi islamici, che pure nella zona sono molti.

Come Cherif Kouachi, immortalato come un rapper delle banlieue nei video presenti su youtube, preferiva gli amici, il rap e le ragazze. Un cliché condiviso con molti altri ombattenti giunti in Siria, in Iraq e in Somalia negli ultimi anni sulla scia della fascinazione di Isis o di Al-Shabaab. Il tedesco Denis Cuspert, conosciuto come Deso Dogg, e recentemente apparso in un video di Isis tra teste mozzate. O il britannico Abdel-Majed Abdel Bary, conosciuto come L Jinny, e sospettato di essere Jihadi John, l’esecutore materiale delle decapitazioni, tra gli altri, dei giornalisti Foley e Sotloff. Omar Hammami, cittadino statunitense conosciuto da combattente come Abu Mansoor al-Amriki e autodefinitosi il “rapper della jihad”, morto nel settembre 2013 in Somalia mentre combatteva con Al-Shabaab.

Profili simili tra loro. Ragazzi originari di paesi islamici, immigrati da piccoli o nati da genitori immigrati in Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia dove viene data loro la nazionalità. Ragazzi che cercano di integrarsi e, spesso, ci riescono. Che hanno amici, che vanno a scuola, che lavorano e, nel tempo libero, fanno rap. Un modo per esprimere la loro rabbia, ma anche una scelta di tendenza. Ed eppure tutti con un malcelato disagio che li spinge a ribadire una identità altra da quella del paese che li ospita e a scegliere una via diversa, un credo diverso. Persino da quello dei loro genitori o dei loro paesi di origine.

E Anas el Aboudi rientra perfettamente in questa categoria. Venti anni, nato in Marocco nel 1992, arriva giovanissimo in Italia dove cresce e frequenta le scuole fino alle superiori. Ha qualche difficoltà a integrarsi e a un certo punto lancia un blog dal titolo inequivocabile Sharia4Italy. Da tempo sotto osservazione degli investigatori, nel giugno 2013 viene arrestato con l’accusa di fare proselitismo per la Jihad, di reclutare (o comunque cercare di convincere) coetanei a diventare foreign fighters in Siria o in Iraq, persino di progettare attacchi nella sua città sullo stile degli ormai famigerati “lupi solitari”. In casa al momento dell’arresto gli trovano le istruzioni per fabbricare bombe e materiale di propaganda jihadista.

Eppure la sua prima preoccupazione, al momento dell’arresto è – secondo quando dichiarato allora dal suo avvocato a un quotidiano di Brescia – di poter sostenere l’esame di maturità per conseguire il diploma di perito elettronico. Familiari e amici sono stupiti. Ma il ragazzo negli ultimi mesi vestiva con lunghe tuniche bianche, si faceva chiamare “Mc Khalifh” e nei suoi pezzi cantava “il martitrio mi seduce, voglio morire a mano armata, tengo il bersaglio sulla Crociata”. Quando lo arrestano indossa i pantaloni della mimetica, la tunica bianca e il classico copricapo musulmano e ai poliziotti dichiara: “si, è vero: sono un guerrigliero di Allah e combatto per la Jihad”. Ma dice di non essere un terrorista, ed effettivamente non è possibile dimostrarlo, almeno non nell’immediato. Così, il 26 giugno il tribunale del riesame lo scarcera.

Da quel momento il ragazzo scompare, per riapparire mesi più tardi in un video su Facebook, con una keffiah sulla testa e un kalashnikov bene in vista. Nelle immagini spiega che si trova ad Aleppo in Siria e che sta combattendo in nome della Sharia.

Ad agosto dello scorso anno scompare anche il suo profilo facebook. Nessuno sa dire con esattezza dove si trovi adesso Anas. Qualcuno dice che guidi una sua cellula di combattenti in Siria, qualcun altro che sia tornato in Europa dove potrebbe trovarsi insieme ad altri foreign fighters come i due fratelli Kaouchi.

Secondo la normativa fino a ora vigente, neanche la “confessione filmata” di Anas costituirebbe per lui motivo di arresto nel nostro paese. In attesa della riforma annunciata dal ministro Alfano, infatti, il nostro sistema giudiziario punisce solo i mercenari che vanno in guerra all’estero per soldi. E Anas ha apertamente dichiarato di essere al servizio dell’Islam per sua esplicita volontà ideologica.