Cassazione: fumatore si ammala di tumore, niente risarcimento

Cassazione: fumatore si ammala di tumore, niente risarcimento
2 Minuti di Lettura
Giovedì 10 Maggio 2018, 16:48 - Ultimo aggiornamento: 11 Maggio, 13:24
Il fumatore incallito ammalatosi e poi morto di cancro ai polmoni non ha diritto ad alcun risarcimento da parte della multinazionale del tabacco e dei Monopoli dello Stato. La Cassazione ha respinto il ricorso e tolto ai familiari dell'uomo, deceduto prima che la causa di concludesse, la speranza di ribaltare la decisione dei giudici di merito che avevano bocciato la richiesta ritenendo il vizio del fumo «un atto di volizione libero». La terza sezione civile della Suprema Corte (sentenza n. 11272) ha anche condannato la vedova e i figli, di cui uno minorenne, a pagare le spese legali, circa 20mila euro.

L'uomo fin da giovane aveva fumato due pacchetti di sigarette al giorno e aveva cominciato a prendere realmente coscienza della pericolosità del fumo solo quando si erano manifestati i primi sintomi della malattia, un carcinoma al lobo inferiore del polmone, diagnosticato nel 2000. Aveva cercato di smettere, senza riuscirci, e si era quindi convinto che la propria incontrastabile assuefazione fosse dovuta alle sostanze contenute nella sigarette.

Nel 2002 aveva iniziato davanti al tribunale di Roma la sua battaglia contro i soggetti che le avevano prodotte e messe in commercio. Accusava il produttore di aver «subdolamente studiato e inserito nel prodotto sostanze in grado di generare uno stato di bisogno imperioso con dipendenza psichica e fisica», e pur a conoscenza della pericolosità del fumo non aveva informato in modo adeguato i consumatori.

Inizialmente la causa era stata intentata anche contro il ministero della Salute per non aver salvaguardato la salute pubblica non obbligando la multinazionale a offrire un prodotto più naturale, privo di rischi per la salute e di sostanze che producono assuefazione. Ma nessun giudice, né quello del tribunale, né in Corte d'Appello, gli aveva dato ragione.

La Corte d'Appello di Roma, in particolare, aveva evidenziato che la dannosità del fumo costituisce da tempo «dato di comune esperienza»: fin dagli anni '70 è nota la circostanza che il fumo provoca il cancro. Fumare, secondo il giudice d'appello, costituisce «un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di un soggetto dotato di capacità di agire», il quale sceglie di fumare nonostante la notoria nocività del fumo. Inoltre, secondo la Corte d'Appello, non si può sostenere che la nicotina annulli la capacità di autodeterminazione del soggetto, costringendolo a fumare senza possibilità di smettere. Una decisione non sindacata dalla Cassazione, che l'ha ritenuta priva di vizi di motivazione, dichiarando inammissibile il ricorso. 

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA