Di conseguenza, «omette di confrontarsi anche con le ripercussioni dell'aggravamento delle condizioni sanitarie e con l'incidenza dei quotidiani trasferimenti in ospedale rispetto ad un'esecuzione penale da mantenere nei limiti dell'umanità e della rieducazione».
I legali di Dell'Utri chiedevano il rinvio dell'esecuzione delle pena per grave infermità fisica o, in subordine la detenzione domiciliare. E la Cassazione ha disposto un nuovo esame da parte dello stesso giudice di sorveglianza che aveva respinto l'istanza e ora dovrà decidere alla luce dei rilievi. «Il giudice - sottolinea la Suprema Corte ribadendo quello che è un principio consolidato - deve valutare se le condizioni di salute del condannato, possano essere adeguatamente assicurate all'interno dell'istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o memo compatibili con le finalità rieducative delle pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell'età del detenuto», bilanciando tutto questo «con la pericolosità sociale del condannato».
La stessa Corte si era già pronunciata sulla richiesta di liberazione anticipata dei legali di Dell'Utri nell'ottobre 2017, con una decisione contraria all'ex senatore, che sconta la condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
A questa decisione si era rifatto il giudice di sorveglianza nel dire no ad un'analoga istanza, presentata meno di due mesi dopo la bocciatura. Ma, spiega la Cassazione, «ciò non può ritenersi corretto», poiché la valutazione deve essere necessariamente rinnovata e attualizzata «in parallelo all'evoluzione della situazione sanitaria» e di tale aspetto occorre dare conto nella motivazione.
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