L’autista alla guida di una banca mancava. Nella letteratura di genere fiorita intorno ai numerosi commissariamenti ordinati in pochi anni dal ministero dell’Economia su proposta della Banca d’Italia è probabilmente un unicum, molto al di là dell’imbarazzo che ovunque caratterizza l’annuncio dell’articolo 70 del testo unico bancario. E’ successo alla Cassa di Risparmio di Chieti, venerdì 19, quando il commissario Riccardo Sora ha fatto rientrare il direttore generale dalle ferie e riunito il consiglio di amministrazione d’urgenza per il passaggio all’amministrazione straordinaria. Qualcuno, nel gelo piombato nella sala, ha subito pensato: gravi perdite patrimoniali. No, il motivo tecnico è «gravi irregolarità amministrative», la lettera A del comma 1. Tra gli altri, due sono i filoni principali: il primo, la mancata azione di responsabilità del cda verso il precedente dg Francesco Di Tizio uscito a fine 2010 con 3 milioni di euro di incentivo all’esodo. La seconda è la storia da guinness. Nella sua relazione, Banca d’Italia biasima la riassunzione di «un dipendente che esercita influenza diretta e indiretta sui membri del consiglio», pilotando nomine, costruendo e sciogliendo patti in nome del potere e delle convenienze di turno. Costui agisce sia nel cda della banca sia in quello della Fondazione controllante, persino influenzando il comitato di indirizzo. Alla bisogna, si serve anche della leva del sindacato Falcri che all’interno di CariChieti conta il 90% degli iscritti ed è guidato, guarda caso, dal figlio Nicola.
LA RIASSUNZIONE
Il personaggio in questione si chiama Domenico Di Fabrizio, il Mister preferenze alle comunali di Chieti del 2010, alle quali ha partecipato quale esponente di centrodestra, ma anche mentore di un consigliere regionale della provincia teatina che tre mesi fa è stato eletto nelle liste civiche di centrosinistra. Un faccendiere trasversale, si direbbe, che nella vita è stato autista del ministro Remo Gaspari (che fu anche suo testimone di nozze), poi autista dell’ex dg Di Tizio e di quello attuale, Roberto Sbrolli. Lo conoscono tutti e da tutti è molto cercato ma anche omaggiato: dai piani alti della banca fino alle filiali, sebbene egli sia uso tenere un profilo decisamente basso. Ma qualcuno lo nota: un dirigente della Banca d’Italia, con garbo, nel corso dell’ispezione del 2012 lo segnala sebbene Di Fabrizio non occupi alcuna poltrona nobile.
Un onore anomalo con tanto di nome e cognome sul verbale ispettivo accanto alla contestazione generale di poltronificio che Palazzo Koch muove a CariChieti: «Modesto sviluppo, eccesso di assunzioni, promozioni in numero del tutto anomalo, riconoscimento di incentivi ad personam non legati ai risultati o alla tipologia di mansioni svolte». Ed è a questo punto che, a titolo di esempio, si cita il Di Fabrizio con nome e cognome.
Nel calderone delle contestazioni di allora è però uno zucchero: ci sono crediti deteriorati al 21%, debole redditività, il grosso degli affidamenti concentrati su dieci clienti, un mutuo concesso persino alla Fondazione controllante che si ostina a non rientrare, mancati controlli, revisione tardiva delle partite malate, conti nell’occhio dell’antiriclaggio. Un mezzo disastro. Nel mal comune, Di Fabrizio decide di «farsi spingere» dalla banca in pensione e si dissolve. Poi nel 2013 il grande rientro: si fa riassumere a 1.200 euro al mese. Profilo ancora più basso ma mosse assai agili dietro le quinte (per la cronaca, tra 2012 e 2013 cambiano due presidenti della Fondazione e quello della Cassa). «Devo stare vicino alla banca», confida a chi se lo ritrova tra il desk dell’accoglienza al piano terra e i corridoi ovattati dell’ottavo, il piano della direzione generale. I dirigenti si giustificano: «Chiacchiere. Come potrebbe avere così tanto potere? Per noi è solo una risorsa, ci ha aiutato ad affrontare il momento durissimo. A dispetto delle malelingue che non sono mai riuscite a provare nulla».
LETTERE ANONIME
E’ però a questo punto che cominciano ad arrivare le lettere anonime. Ne riceve anche la Banca d’Italia, insieme agli esposti firmati dalle organizzazioni sindacali locali. Sicché a fine febbraio 2014 Via Nazionale comanda un’altra ispezione. Dietro alle sembianze del controllo di routine a 24 mesi dalla precedente verifica c’è fibrillazione, perché i crediti deteriorati sono saliti al 28% al lordo delle rettifiche. Però la banca ha cominciato a fare i compiti a casa: 130 milioni di accantonamenti sui fondi rischi, ci sono i legali in campo per i crediti incagliati, il Tier 1 che risale. Perchè allora il commissariamento? Il punto è che Di Fabrizio è sempre in giro, sebbene abbia cercato solidarietà perché la sua riassunzione è nel mirino e in questa nuova puntata si può rischiare grosso. Persino il commissariamento della banca. (Dieci giorni fa, nella lettera di contestazione arrivata da Via Nazionale, si esprimeva un giudizio in prevalenza sfavorevole ma non c’erano contestazioni alla governance. Sembrava un quasi salvataggio ma i timori sul percorso tutto in salita restavano). Ebbene, mai timore fu più fondato: detto fatto, due giorni fa il commissariamento è arrivato con decreto a firma del ministro dell’Economia. Per colpa di un autista che si era messo a guidare la banca.
CariChieti, un autista "guidava" le nomine della banca: istituto commissariato da Bankitalia

di Andrea Taffi
4 Minuti di Lettura
Domenica 21 Settembre 2014, 17:24
- Ultimo aggiornamento: 23 Settembre, 09:21
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