Se capitan Schettino dà lezioni di coraggio

Se capitan Schettino dà lezioni di coraggio
di Paolo Graldi
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Giovedì 7 Agosto 2014, 17:29 - Ultimo aggiornamento: 17:56
Macch imputato di tremendi reati, in attesa di giudizio, per il naufragio del Costa Concordia (32 morti), macch animatore di serate in white all’ischitana, con signore in lungo gongolanti a vezzeggiarlo compiaciute di tanto eroe accanto, macch prossimo autore di un libro-memoria con ambizioni da best seller che racchiude la “verit” su quella terribile notte del Giglio di due anni e mezzo fa.



Capitan Francesco Schettino adesso si dà, si concede, si offre alla docenza. Lo hanno invitato a tenere una mini lectio magistralis, roba da matti, sul tema del panico e della sua gestione, all’interno di un master gestito da un professore della Sapienza intorno al tema “Dalla scena del crimine al profiling”. E lui ci è andato, ha parlato al microfono agli studenti, applausi?, si è preso un attestato di benemerenza e se ne è tornato ad abbronzarsi, applicazione quasi permanente del suo tempo.



Inevitabile che questa storia, che sembra una barzelletta sotto l’ombrellone e forse lo è, producesse un pandemonio: il magnifico rettore Frati, le vene del collo gonfie di sdegno, ha bollato come indegna la sceneggiata dell’ex comandante e ha subitamente deferito al comitato etico «anche ai fini disciplinari» il professor Vincenzo Mastronardi, criminologo, un eccentrico signore in carne, alla Maigret, che sfoggia scintillanti camicie di raso rosa ornate di vistosi gemelli blu, non certo approvati da Simenon.



Mastronardi, intervistato, ha bofonchiato scuse confuse, ritenute «patetiche» dal rettore della Sapienza, scomodando la «par condicio» e spiegando che i legali di Schettino si erano fatti avanti per proporre la testimonianza di un uomo che «ha dimostrato coraggio e di saper gestire situazioni difficili».



Nessun cenno a quel grido dalla capitaneria di Livorno «torni a bordo, cazzo», neanche una parola sulla precipitosa fuga in scialuppa con la amante che ospitava nella sua cabina regale, neppure un attimo di silenzio pensando alle vittime, inghiottite dal mare e imprigionate nell’immenso scafo, rimaste senza aiuto, avvolte in un irresponsabile coltre di rassicuranti bugie.



Così, pochi giorni fa, mentre il relitto della Concordia riemergeva quasi magicamente per lo sforzo di uno staff geniale e determinato, per affrontare il suo ultimo viaggio, capitan Schettino se la godeva in una serata in suo onore a Ischia, felicemente frastornato dai tanti selfie delle dame che anelavano a un brindisi da immortalare. Un brindisi che ricorda quelli esibiti prima e durante il famigerato “inchino” finito disastrosamente sugli scogli dell’isola.



La notizia dell’apparizione in un’aula della Aeronautica ma col patrocinio dell’Università (mai concesso) ha provocato parole durissime di condanna: il procuratore capo di Grosseto (dove si svolge il processo) Francesco Verusio si è detto indignato, il ministro Giannini parla di «fatto sconcertante» e di «spettacolarizzazione inaccettabile».



Ma anche ironie, da un sindacato di polizia si lancia l’idea di organizzare corsi sulla legalità, docenti Totò Riina e Giovanni Brusca, supremi macellai di Cosa Nostra. Insomma, un ripudio diffuso per un episodio in sé davvero da poveracci che tuttavia mostra un’immagine del Paese dove il cattivo gusto, l’esibizione, l’astrazione dalla realtà e dai contesti, trova sempre anime gemelle pronte alle luci della ribalta.



Capitan Schettino, ce lo ricordiamo nelle immagini di quella gelida notte di gennaio, svicolare protetto dall’anonimato per l’isola in cerca di personale ristoro, con 2500 passeggeri all’addiaccio, tramortiti dal freddo e dalla paura, annichiliti pur nello scampato pericolo, angosciati per chi non si trovava più nel buio di una notte, quella sì, di panico puro.



Ma lo rivediamo anche, quest’eroe che ci ha mostrati al mondo, occhiali Ray-Ban, zazzeretta (con brillantina) sulla camicia, sguardo spavaldo e sicuro di sé, durante le risposte al pubblico ministero, parole balbettate, incespicate, sul filo della menzogna, del non capivo bene perché male informato, ma soprattutto, delle accuse al timoniere incapace, secondo lui, colpevole della sciagurata manovra.



Come sia venuto in mente a docenti universitari esperti di psicologia e perfino di psicologia del crimine di sottrarlo, il comandante che ride, al sole di Meta di Sorrento e dalle sue festose scorribande isolane non è chiaro ed anche questo punto andrebbe approfondito, crimonologicamente, appunto. L’Io ipertrofico di questo personaggio che sa di guappo e di tappo di champagne va comunque ricondotto a misura, consigliato con fermezza al silenzio e al ritiro meditativo.



Se non altro perché su queste banalità della cretinaggine ci sguazzano, ci intingono il pane e aggiungono schizzi di fango a un’immagine nazionale che su quel tragico fatto è riuscita a riscattarsi magnificamente, grazie ai mille uomini impegnati con intelligenza e determinazione a portar via quel relitto, testimone di un lutto comunque incancellabile.
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