La campagna del Messaggero/ Emergenza stupri: no alle utopie, serve prevenzione

La campagna del Messaggero/ Emergenza stupri: no alle utopie, serve prevenzione
di Lucetta Scaraffia
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Sabato 23 Settembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 08:54

L’obiettivo, quello che dovrebbe essere condiviso da tutte le donne, è senza dubbio la possibilità di andare in giro per la città, anche di notte, senza il timore di venire stuprate. Una città sicura dovrebbe garantirlo.
Il problema è quale strada percorrere, quali provvedimenti prendere per far sì che questa possibilità diventi realtà. È qui che le cose si complicano.

Perché da una parte c’è la vita vera, le condizioni della vita comune quali esistono oggi, qui ed ora, e dall’altra l’utopia. L’utopia per esempio delle femministe del gruppo “Non una di meno”, le quali ieri hanno manifestato per ribadire: «Invece di dettare regole alle donne per non essere stuprate, insegnate agli uomini a non stuprarle». Un progetto vasto e ambizioso, come si vede che oltre tutto non promette risultati immediati. Una tale rieducazione degli uomini – meglio naturalmente se iniziata già nei primi anni di scuola – richiede infatti tempi lunghi, e i risultati appaiono necessariamente incerti. Finora, ad esempio, nelle scuole italiane non è stato certo permesso ai ragazzi di violentare le compagne di scuola, né tanto meno nessuno li ha incoraggiati a farlo. E ciononostante gli stupratori sembrano moltiplicarsi.

Forse è meglio ricorrere a politiche di dissuasione meno ottimisticamente pedagogiche, ma più severe. Per realizzarle, tuttavia, bisogna in primo luogo individuare i colpevoli, e soprattutto, magari, intimorirli con un sistema di sorveglianza capillare e un’illuminazione tale che scoraggi agguati o rapimenti. Ed è questo per l’appunto ciò che ha chiesto Il Messaggero, denunciando l’insicurezza delle strade di Roma, e suscitando, per la prima volta, una reazione positiva nella giunta capitolina.

Invece di essere contente, però, le femministe in questione, hanno bollato la prospettiva come «trita riproposizione di politiche securitarie». L’incomprensione è grave. Così come è grave che l’afflato utopistico imponga di attaccare personalmente chi, come ha fatto chi scrive, si è permessa di ricordare che forse le donne non dovrebbero accettare passaggi da sconosciuti di notte, e che quando escono sole devono avere ben chiara la situazione reale: vale a dire che le donne sono fisicamente più fragili e che nelle strade solitarie corrono dei rischi. Ragion per cui ci sono quindi delle cose che è meglio evitare di fare, ci sono dei comportamenti che è più prudente non tenere. La libertà delle donne deve fare i conti con la realtà, non può pensare di poter imporre il suo sogno con la sola forza del desiderio.

Il pensiero politicamente corretto, che le cose che ho scritto e che scrivo ora mettono in discussione, impone invece che si faccia finta che non è così, che il mondo è sul punto di cambiare in meglio, e di cambiare così radicalmente da garantire la sicurezza alle donne in ogni circostanza, di giorno e di notte. Invece - e non solo oggi - non solo non è così, ma è anche difficile credere che questa utopia si realizzerà a breve scadenza. Bisogna avere il coraggio di ammettere che le utopie non si realizzano: e il tentativo di renderle reali – praticato da molti movimenti politici della modernità – non ha fatto che creare società peggiori di quelle di partenza.

Si abbia quindi il coraggio di dire che la campagna del Messaggero per una maggiore sicurezza nella città è sacrosanta e necessaria, e che è anche indispensabile che le ragazze si rendano conto dei rischi che corrono, comportandosi di conseguenza.

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