Camorra, in carcere i «capizona» casalesi

La procura di Napoli
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Lunedì 5 Marzo 2018, 22:40 - Ultimo aggiornamento: 6 Marzo, 12:41
Quindici episodi di estorsione attuata ai danni di tre imprenditori di Cancello e Arnone, nel Casertano, per conto del clan dei Casalesi, in particolare prima della fazione facente capo a Francesco Bidognetti, quindi di quella legata al boss Michele Zagaria: è l'accusa contestata a sei esponenti della cosca ai quali oggi sono state notificate dai carabinieri le ordinanze di carcerazione emesse dal Gip di Napoli nell'ambito di un'indagine della Dda partenopea.

Si tratta degli ex capozona, tutti già detenuti, Annibale Tummolo, 51 anni e Biagio Ianuaro di 41, del 63enne Vincenzo Della Corte, del 43enne Antonio Santamaria; ruolo di secondo piano per gli indagati Giovanni Sciorio, di 47 anni, e Antonio Baldascini di 57. L'inchiesta - nel corso della quale sono stati denunciati altri sette presunti estorsori per ulteriori nove episodi ai danni delle stesse vittime - ha abbracciato un periodo che va dal 2006 al 2013, in cui a Cancello e Arnone il clan ha cambiato più volte referenti e capizona, visti i continui arresti della forze dell«ordine. Ciò che non è cambiata è l'usanza di chiedere il pizzo
«​per conto dei carcerati»​, o «​degli amici di Casale»​ da parte degli estorsori del clan, che si facevano vedere alle canoniche scadenze di Natale, Pasqua e Ferragosto. Le somma intascate andavano, è emerso, dai 500 e i 1500 euro.

Tre le vittime accertate, imprenditori di Cancello e Arnone: si tratta del proprietario di una ditta di alimentari, del titolare di un ristorante e di quello di un supermercato. La loro vicenda è venuta fuori nel corso di altre indagini anticamorra che nel 2015 avevano portato all'arresto di alcune persone per estorsione.
I militari della Compagnia di Casal di Principe, guidati da Simone Calabrò, hanno indagato per oltre un anno, riuscendo ad identificare le tre vittime; a quel punto si sono presentati dagli imprenditori che, dopo aver capito che gli inquirenti sapevano della loro
«​vecchia»​ abitudine di pagare il pizzo al clan, hanno confermato tutto denunciando gli estorsori. Sono poi entrati in scena alcuni collaboratori di giustizia, che hanno indicato il livello di compromissione con il clan da parte dei soggetti indicati dagli operatori economici. Un'indagine classica dunque, senza l'ausilio di intercettazioni telefoniche o ambientali.

È emerso che i referenti del clan si passavano il testimone dopo ogni arresto, e che anche la famiglia camorristica di riferimento è cambiata negli anni; con il clan Bidognetti quasi del tutto smantellato - oltre al capoclan anche i figli e i parenti più stretti sono tutti in cella - è stata la fazione guidata da Michele Zagaria a prendere in mano le redini dell'attività illecite, prima fra tutte quella estorsiva. Neanche l'arresto del boss latitante, nel dicembre 2011, ha rallentato l'attività illecita; solo gli arresti dei singoli estorsori hanno creato problemi alla cosca. Il clan, hanno scoperto gli inquirenti, inviava prima le
«​seconde linee»​ dagli imprenditori; se questi ultimi si rifiutavano di pagare, arrivavano direttamente i capizona, noti e temuti. E alla fine i soldi per la cosca venivano tirati fuori.
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