Caivano, il racconto choc dell'amichetta del cuore: «Lei non voleva e gli dava calci, lui l'ha presa e l'ha buttata giù»

Caivano, il racconto choc dell'amichetta del cuore: «Lei non voleva e gli dava calci, lui l'ha presa e l'ha buttata giù»
di Mary Liguori
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Sabato 30 Aprile 2016, 09:01 - Ultimo aggiornamento: 14:27

Ha solo 11 anni, ma è la supertestimone dell'omicidio di Fortuna Loffredo. La mamma e la nonna le dicono cosa deve riferire ai carabinieri, ma quando arriva in casa famiglia la bimba, a sua volta abusata per anni dal patrigno, come le due sorelline, si libera dalle catene con le quali i suoi familiari l'hanno imprigionata, e dà un nome all'orco, per il momento solo presunto. Era l'amica del cuore di “Chicca” ed è la bimba che ha permesso ai carabinieri di dare una svolta alle indagini.

«FELICE, HO DETTO LA VERITÀ»
Quando il fratello delle tre figliastre di Raimondo Caputo precipita dal settimo piano di un palazzo dell'Iacp di Caivano, la madre viene giudicata inidonea a badare alle bimbe e tutte e tre vengono trasferite in una casa famiglia. Qui, gli atteggiamenti anomali delle ragazzine, una delle quali aveva solo due anni quando sono iniziati gli abusi, vengono a galla. Atteggiamenti che l'equipe psichiatrica della struttura di accoglienza legge nella chiave giusta. È un disegno, in particolare, a suscitare l'attenzione di maestre e assistenti sociali. Un disegno in cui una delle tre bambine illustra la nonna, con la quale viveva prima dell'affidamento ai servizi sociali, con degli artigli al posto delle mani. Il patrigno, Caputo, nel disegno della bimba ha la forma di un fallo mentre la madre, Marianna Fabozzi, ha il volto tondo. «Perché l'hai disegnata così?», chiederà la psicologa, allertata dalle maestre, alla bimba, e lei risponderà che quello che ha messo al posto del viso della mamma «è un sedere». Immagini che sono il prologo di quello che la piccola racconterà di lì a poco.

La casa famiglia è il luogo in cui le bimbe si liberano delle pressioni dei parenti, le psicologhe e le insegnanti diventano i loro nuovi riferimenti e, man mano che acquistano fiducia in loro, ricostruiscono anni di abusi da parte del patrigno. «Mamma sapeva?», viene chiesto loro, e le sorelline rispondono di sì, «ma diceva di non dirlo a nessuno, era un segreto, poi il dolore passa».

 

Uno scenario di violenza cronica, fisico e psicologico, dentro il quale si incastra anche la fine di Fortuna. Anche l'omicidio della bambina doveva essere un «segreto» tra madre e figlia. Quel 24 giugno del 2014 Chicca era andata a casa della sua amica del cuore per chiederle di uscire in cortile a giocare. Ma l'infanzia, al Parco Verde di Caivano, finisce quando i bambini iniziano a camminare. La piccola sta lavando il pavimento e risponde a Fortuna che in quel momento in cortile non ci può andare. Allora «Chicca è uscita e Titò l'ha seguita», si legge nei verbali che compongono il racconto della figliastra dell'uomo arrestato ieri. «Lui ha cercato di violentarla, sul terrazzo, ma lei gli dava calci, allora lui l'ha presa in braccio e l'ha buttata giù». L'ossatura intorno alla quale ruotano le accuse gravissime cristallizzate in ordinanza è, dunque, il collage di storie ricostruite da una bambina di undici anni. Per il gip è abbastanza, perché ciò che la piccola riferisce è «coerente e credibile». E poi ci sono prove a suffragio di quelle accuse, secondo quanto scrive il gip. In primis, la pagina del diario segreto in cui la bimba, subito dopo aver raccontato tutto, scrive di essere «felice, ora ho detto la verità». E poi ci sono una mole di intercettazioni dalle quali emerge il tentativo degli indagati di coprire il presunto colpevole di tante mostruosità.

«GLI UOMINI SONO SERPENTI»
Ma la piccola, per quanto sia influenzata dalla mamma e dal patrigno, a sprazzi recupera la sua ingenuità prima ancora di andare in casa famiglia. In uno dei dialoghi registrati la si sente dire «per fortuna quando Chicca è uscita non sono andata con lei, altrimenti uccideva anche me». E, ancora, ci sono le frasi della nonna che dice a sua figlia, la Fabozzi, «troviamoci con le stesse parole», prova, secondo il gip dei tentativi delle due donne di insabbiare la faccenda Tra i disegni agli atti ce n'è uno in cui la minore delle figlie della Fabozzi illustra il patrigno con la faccia a strisce. «Cosa sono?», le chiedono le educatrici. Lei risponde «Sono serpenti, gli uomini sono tutti serpenti». Oggi ha a malapena quattro anni. Gli abusi su di lei, sulle sorelle, sono andati avanti per anni, fino a quando non sono state affidate ai servizi, e si sono consumati in presenza della madre.

 

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