Intervista a Cafiero de Raho, procuratore Dna: «La mafia è ancora viva ma non ha più un capo»

Intervista a Cafiero de Raho, procuratore Dna: «La mafia è ancora viva ma non ha più un capo»
di Cristiana Mangani
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Mercoledì 23 Maggio 2018, 08:40 - Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 15:07

Gli arresti, le condanne, la risposta forte della società civile, ma soprattutto un intervento massiccio dello Stato. Dopo gli attentati devastanti, Cosa nostra è stata decapitata: i boss più carismatici sono finiti in manette, i collaboratori di giustizia hanno raccontato dinamiche e ruoli. E oggi, come accade da 26 anni, le stragi di Falcone e Borsellino verranno ricordate in tutta Italia, con la consapevolezza che, sebbene ferita, la mafia non è mai morta. «Continua e esistere - conferma il procuratore antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho - attraverso i capi mandamento, con quella struttura locale che si muove nei quartieri, così come ha sempre fatto, individuando il proprio capo che non ha più il carisma di quelli assegnati ormai al carcere a vita o alla reclusione per decenni».

La morte di Totò Riina li ha lasciati senza testa?
«Sono rimasti dei soggetti in una posizione gerarchica sicuramente più bassa. Arrestati i capi mandamento, il loro posto è stato preso da quelli che mostravano maggiore capacità e affidabilità. I capi continuano a esserci, così come le famiglie mafiose. Esistono nonostante la commissione regionale e quella provinciale non si riuniscano ormai da decenni».

Come si muovono?
«Hanno una maggiore prudenza che gli deriva dal fatto di non avere più chi determinava la rotta. Si muovono in modo silenzioso e gestiscono il territorio. Palermo resta la città di riferimento, hanno ancora una parola pesante. Anche se oggi si dice che la mafia abbia adottato la strategia della sommersione. Niente azioni violente, stragi, omicidi, e questo perché hanno capito che per progredire serve infiltrarsi nella società civile, nell'economia più silenziosa, attraverso mediatori che rappresentano l'interfaccia pulita. Professionisti, imprenditori, che apparentemente si mantengono dalla parte buona della società, e che in realtà sono gli schermi, la borghesia mafiosa, che gli consente di avere ancora rapporti con quella parte di società che conta».

L'economia è molto florida, in che modo viene alimentata?
«L'estorsione è sempre la modalità più diffusa, ma la parte che viene curata in modo silenzioso è quella attraverso le imprese che si occupano del ciclo dei rifiuti, delle grandi opere infrastrutturali, delle energie alternative, della logistica, o anche delle sale da gioco, bingo, slot machine, scommesse on line. Pesanti infiltrazioni nel settore della sanità, sia pubblica che privata. E nel contrabbando trasnazionale di prodotti petroliferi. Hanno interessi ben oltre la Sicilia».

Quali sono i rapporti con le altre mafie?
«Agiscono sempre da soli ma c'è una sorta di cointeressenza economica tra mafia, ndrangheta e camorra. Sostanzialmente la replica di quello che avviene nel traffico degli stupefacenti, partite di centinaia e centinaia di chili che vengono acquistate dalla ndrangheta insieme alla mafia, dalla mafia insieme alla camorra, o da tutte e tre insieme. Non è un cartello stabile».

All'appello dei grandi capi arrestati manca Matteo Messina Denaro: potrebbe essere lui il nuovo capo di Cosa nostra?
«Sicuramente è un capo e continua ad avere un grandissimo carisma, anche perché è rimasto l'unico latitante. Però che sia il soggetto che possa assicurare la riunificazione della mafia sotto la guida verticistica non lo credo, almeno a giudicare da quanto emerge all'interno della mafia. Messina Denaro è visto come qualcuno che guarda soprattutto ai propri interessi. E un capo deve guardare agli interessi di tutti. Così ritengono i mafiosi di rango».

Perché riesce ancora a farla franca?
«Sulla base dell'esperienza maturata nella cattura di latitanti, chi resta in libertà per decenni beneficia di una rete di copertura molto ampia. Quello che si sta facendo per la sua cattura è l'arresto delle reti, i favoreggiatori finiti in carcere finora sono centinaia. Ciò dimostra che l'azione dello stato è seria e approfondita. Non si arriva ancora a lui perché, da un lato dipende dal fatto che è riuscito a costituire segmenti diversi e indipendenti che rendono l'individuazione più complessa, e poi perché è stato capace di prevedere lo sviluppo investigativo nei suoi confronti, tanto da riuscire a mantenere intatta la rete del segmento più vicina. Inoltre, è anche da ritenere che le coperture le abbia nei luoghi in cui ha sempre vissuto, perché un capo non può allontanarsi dai propri luoghi, deve godere della protezione dei soggetti che lo hanno sempre sostenuto. Si sta facendo un lavoro enorme, si arriverà a lui».

Quale è, al momento, la mafia più potente?
«Sembra essere la ndrangheta: ha una presenza capillare in Calabria ma anche proiezioni nel centro e nord Italia, in paesi come l'Olanda, la Germania, i Paesi Bassi.

Solo in Canada ha 40 locali interi, un numero decisamente elevato. Ha presenze negli Stati Uniti, broker nei luoghi di produzione della cocaina nel Centro e nel Sud America. Ha un'organizzazione strutturata sull'intero globo e questo gli consente di reclutare nuove forze.

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