Durante l'udienza, il presidente Michele Leoni ha spiegato che nella sentenza della Corte di Appello di Bologna del 1994, l'appello bis del processo sulla Strage, furono sollevati pesanti dubbi in ordine alle percentuali di composizione dell'ordigno, con conseguenti perplessità in relazione alla sua provenienza. Un dettaglio fondamentale per stabilire se la miscela sia compatibile con gli esplosivi che, all'epoca, erano nella disponibilità dei Nar di cui Cavallini faceva parte, insieme a Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. I tre, condannati in via definitiva, saranno sentiti nelle prossime udienze.
Oggi in aula hanno testimoniato tre donne.
La prima è stata Flavia Sbrojavacca, all'epoca compagna di Cavallini, con il quale abitava a Villorba di Treviso. I due ebbero un figlio, nato il 10 luglio 1980, meno di un mese prima dell'attentato. Un bambino che Cavallini poi non riconobbe: la relazione è finita da più di 30 anni. «Del 2 agosto 1980 non ricordo nulla in particolare - ha detto la donna - è un periodo che preferisco dimenticare». Per lei, Cavallini si chiamava "Gigi Pavan", mentre la Mambro e Fioravanti erano "Chiara" e "Riccardo". Solo in seguito scoprì le loro vere identità. All'epoca, venne accusata di favoreggiamento, ma poi venne assolta. Elena Venditti, ex di Ciavardini, si è limitata a confermare quanto già dichiarato in precedenza, affermando di non ricordare con chiarezza molti episodi. Cecilia Loreti, invece, si è commossa quando ha parlato dell'omicidio di Marco Pizzari, suo ex compagno, estremista di destra, ucciso a Roma il 30 settembre del 1981 da un commando dei Nar di cui faceva parte anche Cavallini: «Lo Stato - ha detto - ha riconosciuto la famiglia di Marco come vittima, siamo sempre stati trattati con fermezza ma con onestà intellettuale. Noi non eravamo traditori, perché non si può tradire qualcosa di cui non si fa parte».
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