Banca Marche, l'ex dg a processo: «Non decidevo da solo»

Una sede di Banca Marche
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Venerdì 1 Dicembre 2017, 22:11 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 15:31
Dall'inizio dell'inchiesta sul crac di Banca Marche, per la prima volta l'ex dg Massimo Bianconi, ritenuto dalla Procura di Ancona uno dei principali responsabili del dissesto dell'istituto di credito, si è difeso dalle accuse davanti ai giudici. L'occasione non è stato il giudizio principale a carico di 16 ex funzionari e amministratori di Bm, ma quello stralcio in cui deve rispondere di corruzione tra privati con gli imprenditori Vittorio Casale e Davide Degennaro.

Con calma ma deciso, il manager ha delineato i capisaldi della strategia difensiva, rispondendo a tutte le domande del pool di pm formato da Andrea Laurino, Serena Bizzarri e Marco Pucilli. Il processo proseguirà il 4 dicembre prossimo. Bm era una struttura complessa, con 500 mila depositari e 100 mila affidatari, ha ricordato Bianconi, e non era lui il "dominus" dei finanziamenti, che dovevano superare sette passaggi: dalle filiali competenti per le istruttorie al vice dg Stefano Vallesi, responsabile area crediti, che per statuto, dal 2008 era competente a proporre le pratiche al comitato esecutivo e al cda.

Quanto ad Archimede 96, la società della moglie di Bianconi Anna Rita Mattia e alla figlia Ludovica, che avrebbe lucrato su un immobile a Roma ritenuto provento della corruzione, l'ex dg ha negato ogni intervento per il mutuo da 7 milioni erogato da Banca Tercas e sulla gestione dell'affare. Ormai da tre anni, ha rivelato, «sono separato da mia moglie; da cinque mesi prima degli avvisi di garanzia».

Con lei, già dal 2007, quando si trasferì a Roma, «i rapporti erano già sfilacciati». Mattia era insegnante elementare, ha raccontato il manager, ma anche un'imprenditrice dagli anni Novanta con un patrimonio da «20 milioni di euro» «capace di valorizzare gli investimenti» in particolare immobiliari: dopo aver portato a termine un affare immobiliare in Sardegna, ha riferito Bianconi, la moglie decise di scambiare le case con l'immobile dei Parioli senza che lui intervenisse in alcun modo. E i 700 mila euro erogati a favore della consorte, ha spiegato, erano «un anticipo» poi restituito.

Nel mirino di Bianconi la Fondazione Cassa di risparmio di Macerata, una della comproprietarie dei Bm, colpevole secondo il manager di essersi opposta nel 2008, mentre Jesi e Pesaro erano favorevoli, alla cessione della banca, a fronte di offerte fino a 3 miliardi di euro. E il manager si è smarcato anche dall'ex vice dg descritto comunque come una persona capace e moralmente integra, degna della sua «stima professionale e umana»: fu la fondazione maceratese a volere Vallesi come vice dg e una modifica dello statuto per affidargli la competenza di proporre i finanziamenti.

I giudici hanno sentito anche Degennaro, accusato di aver finanziato Bianconi sempre nell'ambito dell'operazione Archimede.
L'imprenditore ha detto che non sapeva neanche che il dg di Banca Marche si chiamasse Bianconi e di aver incontrato la moglie e la figlia solo una volta, senza aver contezza di un legame con lui.
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