Arbitrato-marò, l'Italia faccia rispettare il diritto del mare

di Cesare Mirabelli
3 Minuti di Lettura
Lunedì 10 Agosto 2015, 23:42 - Ultimo aggiornamento: 11 Agosto, 00:10
L’udienza che si è tenuta ieri ad Amburgo, dinanzi al Tribunale internazionale del diritto del mare, apre un nuovo capitolo nella vicenda dei fucilieri di marina, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Non sarà quello conclusivo del conflitto insorto tra il nostro Paese e l’India, a seguito dell’incidente che nel 2012 ha coinvolto i due militari, accusati di avere colpito ed ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati.

I due militari prestavano servizio, per mandato del nostro Stato ed in obbedienza agli ordini ricevuti, per proteggere la nave sulla quale erano imbarcati contro atti di pirateria, frequenti in quei mari. Il contesto internazionale richiedeva cooperazione nella repressione di endemici assalti a navi da trasporto, per garantire la libertà di navigazione e la sicurezza dei traffici marittimi. L’incidente sarebbe avvenuto in acque internazionali, e l’azione considerata criminosa sarebbe stata commessa agendo da una nave battente bandiera italiana. Inoltre la “cattura” dei due militari sarebbe avvenuta arbitrariamente, essendo stata richiamata la nave dalle autorità indiane, ed inviati a terra i due militari, per poter riconoscere gli autori dell’aggressione che aveva determinato la reazione armata.

C’è n'è abbastanza perché venissero coinvolti molti aspetti del diritto interno ed internazionale. L’India ha rivendicato, secondo il diritto interno, la giurisdizione dei propri tribunali. Ma ad oltre tre anni dai fatti non è stata ancora formalizzata l’accusa.

Intanto i due militari sono trattenuti in quel Paese, salvo il temporaneo permesso per motivi di salute concesso ad uno di essi.



Altrettanto vale per la giurisdizione che rivendica l’Italia. Il nostro codice penale, in conformità al diritto internazionale, prevede che le navi italiane siano considerate come territorio dello Stato ovunque si trovino, salvo che siano soggette, secondo il diritto internazionale appunto, ad una legge territoriale straniera. Ma anche se il reato dovesse considerarsi commesso all’estero, sarebbe sottoposto alla legge ed alla giurisdizione italiana, se commesso da chi è a servizio dello Stato e abusa dei poteri o viola i doveri della sua funzione.



Inoltre, il reato del quale i due militari sarebbero accusati, in base alle leggi dell’India potrebbe essere astrattamente punito con la pena di morte. La Corte costituzionale italiana ha affermato che è in contrasto con la Costituzione la norma che, in esecuzione di un trattato internazionale, consenta la estradizione per reati per i quali è prevista la pena di morte, anche se lo Stato richiedente assicura che questa pena in concreto non sarà irrogata. Questa circostanza avrebbe potuto impedire il rientro in India dei due militari, se fosse stata richiesta una disposizione del giudice nazionale nel corso del primo permesso loro concesso di temporaneo rientro in Italia.



Il nuovo capitolo che ora si apre, dopo oltre tre anni di infruttuosa partecipazione alle complesse procedure giudiziarie indiane, senza che neanche sia stata formalizzata l'accusa nei confronti dei nostri militari, riconduce correttamente la controversia nell’ambito internazionale, dinanzi a giudici terzi e imparziali rispetto ai due Paesi. Un giudizio dinanzi alla Corte arbitrale dell’Aja già promosso e in attesa di effettivo avvio dovrà esaminare i complessivi aspetti internazionalistici della vicenda.



Ora, dinanzi al Tribunale internazionale che ha sede ad Amburgo, nella storica città libera anseatica, è in gioco l'applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Questo Tribunale, competente per tutte le controversie relative all'applicazione della Convenzione, compresi i limiti all’esercizio della giurisdizione su una nave straniera, è chiamato a pronunciarsi in via d’urgenza sulla legittimità del trattenimento in India dei due militari. Seppure vi fosse una qualche loro responsabilità in una azione che, invece, si afferma come legittima, il loro forzoso trattenimento in India è andato ben oltre le misure cautelari che avrebbero potuto essere adottate.



Senza azzardare impossibili previsioni, il Tribunale ha materia per disporre il venir meno di questa misura, o di disporne altre in alternativa.

Il ritorno in Italia di Girone e Latorre, dovuto a una decisione di un giudice imparziale ed accolto senza toni trionfalistici come atto di giustizia, probabilmente aiuterebbe anche i due Paesi a trovare essi stessi una equilibrata soluzione a questa ingarbugliata vicenda.