Terremoto, Antonio Tajani: «Dall’Europa fino a due miliardi»

Terremoto, Antonio Tajani: «Dall’Europa fino a due miliardi»
di Mario Ajello
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Domenica 19 Febbraio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 07:46

Il primo discorso da presidente dell’Europarlamento lo ha dedicato ai terremotati. E oggi e domani, Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, sarà nelle zone del sisma. Girerà insieme ai sindaci e ai rappresentanti della Protezione civile, tra Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo.
 

 

Presidente l’Europa è stata criticata, a proposito del terremoto, perché si sarebbe mossa poco e tardi. Crede che qualche carenza ci sia stata?
«Direi proprio di no», risponde Tajani in visita al Messaggero. «L’Europa si è mossa subito. Con la stessa rapidità con cui intervenne per il sisma dell’Aquila e per quello dell’Emilia Romagna, stanziando in un caso 493 milioni di euro e nell’altro 670. Esistono delle procedure nel Parlamento europeo e nella Commissione Ue, per stanziare dei soldi e quindi ci vuole del tempo. Nel caso degli ultimi terremoti, l’unica cosa che si poteva fare subito l’abbiamo fatta. Cioè dare tutto l’anticipo possibile, prescritto dal fondo di solidarietà della Ue. Il 9 dicembre sono stati erogati 30 milioni di euro, a pochi giorni dalla richiesta arrivata dall’Italia. Ma c’è molto di più».

La cifra finale quale sarà?
«Il 15 febbraio, l’Italia ha inviato alla Commissione europea la stima globale dei danni, che è di 23,5 miliardi. La Commissione farà immediatamente la proposta d’intervento al Parlamento europeo e il Parlamento dovrà votarla. Secondo me, alla fine la cifra complessiva erogata, tra fondo di solidarietà e fondi strutturali Ue, potrebbe avvicinarsi ai due miliardi».

Ma basterà per cancellare la convinzione, largamente diffusa, che l’Europa sia lontana dai suoi cittadini?
«In aggiunta a queste risorse per la ricostruzione, si possono usare i fondi strutturali destinati alle regioni. Un investimento che non prevede soldi italiani, perché in questo caso e in via eccezionale la Commissione ha proposto di consentire un non co-finanziamento. Ma per la disponibilità di questi soldi molto dipenderà dalle Regioni».

Sta dicendo che l’Europa è benigna e non matrigna.
«Io dico che l’Europa ha molti difetti e che va certamente cambiata. Ma c’è anche un po’ lo scaricabarile, sull’Europa, dei problemi che i vari Stati non sanno risolvere. Lo sport nazionale, non solo in Italia, è quello di dare sempre colpa all’Europa, ma è sbagliato. Voglio aggiungere per esempio, a riprova dell’impegno europeo per i cittadini europei, che si potrebbero utilizzare per le zone del sisma altri fondi. Come quelli di Orizzonte 2020 per gli studi sismologici che servono ad aiutare la prevenzione. Per favorire il turismo, si può utilizzare il pacchetto Cosme. E poi, per intervenire in quelle zone, si possono utilizzare il Piano Juncker e la Bei di concerto con la Cassa Depositi e Prestiti. E ancora: c’è l’impegno di Juncker per co-finanziare la ricostruzione della cattedrale di Norcia».

Si tratta però di cose ancora sulla carta.
«Le cifre e i tempi di questi interventi dipendono dalla capacità con cui i Comuni, le Regioni, le università e le altre istituzioni fanno le richieste».

Spesso è colpa dell’Italia che non sa fare le richieste giuste. Ma come fa a negare che il concetto asfittico di austerità sia la principale colpa dell’Europa?
«Bisogna essere molto chiari su questo. Io credo che i conti pubblici vanno obbligatoriamente risanati, ma occorre fare allo stesso tempo, per forza, una politica di crescita. Un pilastro senza l’altro non funziona. Per ridurre il debito pubblico, c’è bisogno di politiche espansive».

L’Italia le sembra capace di trattare con l’Europa?
«Non tanto. Non riusciamo ad essere incisivi. Perché manca una strategia. Bisogna organizzare a Bruxelles una presenza, anzitutto fisica, nelle direzioni generali, in Parlamento, nelle riunioni di settore e in qualsiasi luogo decisionale».

Nei Palazzi che contano non ci siamo?
«Questo dipende anche dalla nostra legge elettorale per l’Europarlamento. E’ un sistema basato su preferenze e su circoscrizioni immense. Perciò gli eletti italiani sono costretti a sottrarre una parte del loro lavoro all’Europa, per rispondere alle esigenze dei loro collegi. Soltanto nel nostro Paese c’è questo sistema elettorale così penalizzante. Nell’interesse generale dell’Europa, serve più Italia. I tedeschi comandano perché ci stanno. Dobbiamo esserci molto di più anche noi».

L’Italia ha bisogno di ricucire con l’Europa. Come si fa?
«Mi sembra che Gentiloni stia usando linguaggio giusto. Quello utile a ricomporre, senza cedere sui contenuti, tante fratture e lacerazioni».

A proposito di fratture, l’eventuale vittoria di Marine Le Pen in Francia sarà la voragine che inghiottirà l’Europa?
«Credo che l’Europa abbia un valore ben più importante del risultato elettorale di un Paese. Dobbiamo capire perché tanti cittadini votano per i partiti populisti. La soluzione non è attaccare questi partiti».

E quale sarebbe?
«Dare risposte ai cittadini che, essendo scontenti delle risposte finora non date, votano questi partiti».

Sta di fatto che lievita il numero di quelli che diffidano dell’Europa. Non hanno qualche ragione? 
«Le ragioni del malessere derivano, essenzialmente, da questi fattori. Uno: l’Europa comunica male quello che fa. Due: lo scaricabarile sull’Europa, come le dicevo prima, da parte degli stati nazionali. Tre: l’eccesso di euro-burocrazia».

E il troppo rigorismo?
«Troppo rigorismo e non un giusto rigore».

Lei da presidente del Parlamento vuole cambiare questo schema?
«Vorrei un’Europa che si occupasse delle grandi cose, dal terrorismo all’immigrazione alla crisi economica, e quindi più politica. Lasciando ai vari Stati la soluzione delle questioni burocratiche. L’Europa ha fatto spesso il contrario. Concentrandosi non sulle grandi cose ma sulle piccole. Spero che questo cambio di prospettiva si affermi anche in occasione delle celebrazioni, a fine marzo, dei 60 anni dei Trattati di Roma. Non dovrà essere un momento retorico o nostalgico. Ma l’inizio della nuova stagione, quella di un’Europa vicina ai cittadini».

Bisognerà convincere Angela Merkel.
«La incontrerò a Berlino la prossima settimana, anche in vista dell’anniversario dei Trattati. Vedo in lei, soprattutto sul tema dell’immigrazione, un giusto approccio europeo». 

Non è che Trump può dare all’Europa, per reazione, quello sprint che finora le è mancato?
«Sicuramente ha risvegliato un orgoglio europeo. Che non dev’essere visto come contrapposizione. Anzi, deve farci vedere agli occhi degli Stati Uniti e degli altri come interlocutori autorevoli e quindi ancora più credibili. Essere amici degli Usa non significa essere succubi». 

Però più l’Europa perde pezzi - vedi la Brexit - e più rischia la subalternità.
«Non c’è solo la perdita ma anche l’acquisto di pezzi. Tutti i Paesi dei Balcani si sono candidati a entrare nella Ue. Quanto alla Brexit, occorre affermare con fermezza e serenità la trattativa. Ovvero: tutelare gli interessi europei chiarendo che far parte della Ue comporta vantaggi che non possono avere quelli che stanno fuori». 

La Turchia è candidata ad entrare. Si può fare? 
«E’ un interlocutore chiave. L’accordo che abbiamo sottoscritto sull’immigrazione funziona. Ma per quanto riguarda la sua candidatura a fare parte della Ue, alcune scelte recenti destano grande preoccupazione. A cominciare dalla tutela della libertà d’informazione. La Turchia è un Paese amico ma deve rispettare le regole della casa». 

E La Russia? 
«A sua volta deve rispettare il diritto internazionale. Questa, per il Parlamento Europeo, è una linea rossa». 

Concludiamo con Roma. Lei da ex candidato sindaco che giudizio dà?
«Roma non può essere abbandonata a se stessa.
Serve un’inversione di tendenza. E chiunque sia il sindaco, al di là delle appartenenze politiche, deve fare interventi epocali, non limitarsi all’ordinaria amministrazione. Roma non è soltanto la Capitale d’Italia. E’ la città sulla quale poggiano le fondamenta dell’Europa». 

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