Intercettazioni/ Il giusto limite per tutelare il diritto di tutti alla riservatezza

di Carlo Nordio
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Mercoledì 23 Settembre 2015, 22:57 - Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 00:22
Non sappiamo quale sarà la disciplina definitiva delle intercettazioni, il cui iter ha faticosamente passato il primo esame alla Camera. Allo stato attuale, il bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto. Notizie buone e notizie cattive. La cattiva notizia è l’ennesima manifestazione di esuberante fantasia, squadernata dai paladini della cosiddetta trasparenza informativa.



Costoro protestano contro una "legge bavaglio" come se esistesse, e qualcuno l’ha sostenuto, un diritto di cronaca sui contenuti delle conversazioni captate dall’autorità giudiziaria. A questi menestrelli erranti del giustizialismo spione va risposto, in termini chiari, che questo diritto non esiste. Al contrario, esiste il principio opposto, sancito dall’articolo 15 della Costituzione “più bella del mondo”: le comunicazioni tra privati sono inviolabili. Se il magistrato le acquisisce, non per questo il potere investigativo si converte in diritto alla diffusione del loro contenuto.



Anche se si trova nel fascicolo processuale, l’intercettazione deve (dovrebbe) restare segreta: come le fotografie dei bambini vittime della pedopornografia, che stanno agli atti, ma non possono finire sui rotocalchi. Questa è la regola. Se in questi anni se ne è fatto malgoverno, è anche perché parte della magistratura ha stravolto, arbitrariamente, il chiarissimo dettato degli articoli 267 e 268 del codice di procedura penale, e perché pochi si sono ribellati a questo degrado incivile della nostra democrazia.



Compressi tra l’invadenza moralizzatrice di alcune toghe e l’esuberanza spavalda di molti giornalisti, i cittadini hanno rinunziato al loro diritto primario alla riservatezza, e quindi alla loro libertà. Perché la segretezza è la prima condizione della libertà di parola. Se tutti sapessero quello che ci diciamo, insegnava Pascal, non avremmo un amico. E così l’articolo 15 della Costituzione è stato “abrogato” per desuetudine e mancato esercizio.



La buona notizia è che il governo sta, finalmente, correndo ai ripari. Il progetto approvato non risolverà tutti i problemi, ma almeno costituirà un significativo cambio di rotta nella riaffermazione delle individuali prerogative costituzionali. Perché non sarà risolutivo? Perché la cosidetta "udienza filtro", o come la vogliamo chiamare, mettendo a disposizione delle parti i testi da individuare in quanto utili, li renderanno noti a decine di persone, consentendone una divulgazione pilotata, la cui impunità sarà garantita dall’impossibilità di individuarne l’autore.

Nè servirà incriminare il giornalista, che preferirà correre il rischio di una pena futura e incerta piuttosto che rinunziare a una succulenta rivelazione scandalistica. Quello che serve, in realtà, è impedire che la notizia gli arrivi: eliminare la malattia e la febbre, non prendersela con il termometro.



Il rimedio, radicale e razionale, lo abbiamo già scritto più volte. Si adotti la disciplina delle intercettazioni preventive, indispensabili alle indagini ma non utilizzabili processualmente, e come tali inaccessibili a tutti, custodite nella cassaforte del pm che le ha disposte, sotto la sua responsabilità. Ma sappiamo di gridare al vento. La politica è ancora docile alla funesta influenza di una residua corrente giacobina, e non avrà l’ardimento di una riforma radicale. Tuttavia, come si è detto, il coraggio di Renzi è già una buona notizia. Speriamo che abbia la forza e la costanza di tradurlo in una esecuzione efficace.