Giulio Tremonti: «Dal conflitto in Ucraina la spinta per l'unità politica europea. La Cina? È un gigante debole»

L’ex ministro: «La guerra in Ucraina ha rotto lo schema di un continente coeso, ma spingerà verso una maggiore unione politica»

Giulio Tremonti: «Dal conflitto in Ucraina la spinta per l'unità politica europea. La Cina è un gigante debole»
di Francesco Bechis
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Lunedì 29 Maggio 2023, 00:16 - Ultimo aggiornamento: 10:51

La guerra russa in Ucraina è l’ultimo treno per «l’unità politica europea». Ne è convinto Giulio Tremonti, già ministro dell’Economia, presidente della Commissione affari esteri della Camera di Fratelli d’Italia e attento osservatore della politica internazionale. 

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Professore che Europa uscirà da questa guerra ai suoi confini?
«La guerra ha rotto lo schema paneuropeo, l’idea di un’Europa dall’Atlantico agli Urali.

Spingerà l’Europa verso un maggior grado di unità politica».

È mancata lungimiranza dalla classe dirigente europea?
«Solo da parte di chi non ha voluto aprire gli occhi. Due anni fa, al G20 di Roma, nessuno immaginava una guerra in Europa. I nostri statisti gettavano monetine nella Fontana di Trevi senza accorgersi di essere in diciotto: mancavano Xi e Putin. Erano turisti della storia».

Come si raggiunge questa nuova unità europea?
«Le idee giuste camminano in salita, ma camminano. Nel semestre italiano in Ue del 2003 furono proposti gli Eurobond per le infrastrutture e l’industria militare. Un nuovo manifesto di Ventotene. Oggi abbiamo gli Eurobond e ci stiamo avvicinando alla difesa europea». 

E gli Stati Uniti? Nato e Difesa europea possono convivere?
«Non si può immaginare l’Europa senza la Nato. Ma non vedo un futuro della Nato senza una vera Unione europea. Il primo ministro polacco Morawiecki ha parlato di “Europe great again” ed è questa la via. Ci sono due modi per stare a un tavolo: seduto come commensale o con il tuo nome scritto sul menù. Questo è il bivio». 

Questa Europa è all’altezza della sfida?
«Può esserlo a patto che si liberi della cancel culture dominante. Pensa che una cultura che nega natalità e famiglia in Paesi dove sanità e pensioni ne dipendono dalla culla alla tomba possa reggere?»

E l’Italia? Le difficoltà sul Pnrr indeboliscono il nostro Paese in Ue?
«Le difficoltà sul Pnrr sono connaturate alla natura del piano: una pila di carte alta venti centimetri». 

Guerre, migrazioni, crisi finanziarie. Professore, la globalizzazione è in fase terminale?
«È stata la cosa giusta fatta nei tempi sbagliati: troppo in fretta. L’idea che la storia fosse sospesa, o finita come scriveva Fukuyama, è stata smentita. La storia è tornata con un carico di interessi arretrati, accompagnata dalla geografia».

Si riferisce alla guerra in Ucraina?
«La guerra è solo l’ultimo anello della catena. L’utopia di un mondo globale era finita in frantumi molto prima. Con la crisi del 2008 e dei mutui subprime, il tentativo finanziario di ridurre gli effetti devastanti sulla working class occidentale delle delocalizzazioni in Asia. La svolta è arrivata con Trump e America first. Nel novembre 2016 a Berlino Barack Obama riconobbe: “Non è la fine del mondo. È la fine di un mondo”. Appunto, il mondo globale».

Una lettura drammatica del presente. Non crede?
«Tutti i secoli hanno in sé una cifra a suo modo drammatica, questo in particolare. Ricorda il “mundus furiosus” del 1500, il secolo della scoperta dell’America ma anche dell’invenzione della stampa. In entrambi i casi, c’è la rottura di un vecchio ordine». 

La sfida cinese è parte della crisi?
«Sì. L’Occidente pensava la Cina come in cammino verso prosperità e democrazia. In Cina la prosperità è arrivata, la democrazia no. E internet, pensato come strumento di libertà, qui è diventato strumento di oppressione del governo».

Anche sulla Russia l’Europa ha chiuso gli occhi?
«La guerra ha rotto un modello economico che durava da decenni. Import a basso costo di energia dalla Russia, export di prodotti ad alto valore verso la Cina. Un modello di cui la Germania è stata perfetta interprete e che ora entra in crisi».

Come deve porsi l’Occidente con la superpotenza cinese? La Cina è una minaccia o un’opportunità?
«Con la Cina l’alternativa è una sola: pace o guerra. Meglio far attraversare i confini dalle merci che dagli eserciti. Dobbiamo evitare una nuova guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, tra Occidente e Cina. Semmai, è la debolezza cinese a doverci preoccupare».

Ovvero?
«Per capire la Cina bisogna guardare Google Maps: la costa è illuminata, l’interno è uno sconfinato territorio senza luci, abitato da centinaia di milioni di anziani in aree rurali. La spinta cinese verso l’innovazione e l’intelligenza artificiale è il disperato tentativo di superare questo deficit. Le faccio un esempio».

Prego.
«Nel 2009 sono stato invitato alla Scuola centrale del Partito comunista cinese per una lezione sulla globalizzazione. Il giorno dopo a Piazza Tienanmen ho avuto una conversazione con una persona che oggi, in Cina, è la più importante di tutte. Si chiuse con questa frase: “Vorremmo diventare un po’ più ricchi prima di diventare troppo vecchi”».


Chiudiamo sull’attualità. L’Italia deve uscire dalla Via della Seta?
«Mentre gli altri vendevano aerei, l’Italia è stato l’unico Paese del G7 a firmare il memorandum. Loro hanno aumentato i volumi di vendite senza l’accordo, noi abbiamo avuto l’accordo senza volumi di vendite. Non serve aggiungere altro».

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