Giuseppe Conte non può restare fuori dal Parlamento italiano, sia pure in una legislatura quasi al termine (nel 2023, ammesso che non si voti prima ma è improbabile). Non può restare nel suo studiolo, né nella sede M5S a Campo Marzio ancora deserta anche se strapagata, perché da lì il leader stellato non può partecipare direttamente a Montecitorio alle manovre per l’elezione del Capo dello Stato, rischia di essere surclassato - se assente - dalla capacità manovriera di Di Maio e dalla sua abilità a tessere rapporti con politici dell’intero spettro politico e soprattutto non garantisce a Enrico Letta il controllo anche fisico degli onorevoli grillini mentre la trama rossogialla per scegliere insieme il successore di Mattarella si andrà dipanando nei giorni clou delle votazioni a Camere riunite. Insomma, il Pd sta per dare via libera alla candidatura di Conte nel collegio Lazio 1, il centro storico di Roma (Celio, San Saba, Testaccio, Trastevere, Flaminio), appannaggio finora del Pd e in ultimo detenuto da Gualtieri (eletto con il 62 per cento) e prima da Gentiloni (eletto con il 42 per cento). Nel Pd danno la candidatura grillo-dem di Conte per fatta. Gasbarra che pareva in pole position per quella gara non lo è più. E Zingaretti dice: «Conte candidato in questo collegio è un’opportunità da valutare: noi dobbiamo costruire un’alleanza che si prepara a vincere le elezioni» (quelle del 2023, e intanto le suppletive che si terranno il 16 gennaio). Ovvero, Conte in Lazio 1 come simbolo del patto per le politiche stretto da Letta e lo stesso leader M5S.
Al Nazareno danno la cosa per fatta.
DESISTENZA
La carta Conte però ha un problema molto grande. Che è rappresentato dal maggior oppositore dell’accordo Pd-M5S, Ovvero Carlo Calenda. Si potrebbe profilare, proprio nella zona di Roma centro in cui Azione alle comunali ha preso quasi il 30 per cento dei voti, uno scontro al fulmicotone Conte-Calenda per il Parlamento italiano. In Azione, c’è chi dice: contro Conte il candidato giusto è proprio Carlo. E molti calendiani insistono su Calenda («Dai, sfidiamo Conte e abbattiamolo!») mentre lui è in modalità no comment ma non esclude affatto la propria candidatura. Nei giorni scorsi più volte ha detto il leader di Azione: «Siamo disponibili a ragionare con il Pd su una candidatura unitaria ma senza confronto procederemo per conto nostro». La scelta dem su Conte, se confermata, suona per Calenda come un vero schiaffo. E come un invito a mettersi in campo, sull’onda del successo ottenuto alle comunali dove il suo è il primo partito della Capitale. Intanto nel centrodestra ieri sera, appena sono cominciate a circolare le indiscrezioni su Conte, la reazione è stata: «Noi non abbiamo neppure la più pallida idea di chi candidare in Lazio 1 né contro di lui né contro qualche altro». Il rischio, per Pd e M5S, è che il centrodestra attui una desistenza mascherata. Potrebbe presentare una candidatura debole e fittizia e di fatto appoggiare nel segreto dell’urna Calenda. Togliendo ai rossogialli la certezza della vittoria.
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