Covid e spostamenti, lite continua sui colori: e ora il governo frena sulla scuola a gennaio

Covid e spostamenti, lite continua sui colori: e ora il governo frena sulla scuola a gennaio
di Alberto Gentili
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Mercoledì 16 Dicembre 2020, 01:12 - Ultimo aggiornamento: 12:38

Sarà deciso oggi il destino del Natale degli italiani, in bilico tra la zona rossa nazionale o arancione nei giorni festivi e prefestivi dal 23-24 dicembre al 6 gennaio. Nessuna stretta, invece, per il prossimo week-end: «E’ troppo tardi e troppo impopolare intervenire adesso», dice un ministro.


Proprio per questo il giro di vite natalizio verrà preceduto, come suggerisce il Comitato tecnico scientifico (Cts), da un «inasprimento dei controlli» per impedire le resse nelle strade dello shopping e davanti negozi, centri commerciali e locali dell’ultimo fine settimana.

In più, visto l’andamento dell’epidemia tutt’altro che rassicurante (ieri altri 846 morti), è destinato ad evaporare il proposito di riaprire le scuole superiori il 7 gennaio.


La road map verso la nuova stretta è complessa. Questa mattina il ministro Francesco Boccia incontrerà le Regioni, da cui spera di avere sostegno per la linea dura. Poi, alle 12.30, verrà celebrato un nuovo vertice tra i capidelegazione che si annuncia tutt’altro che pacifico. Da una parte c’è il premier Giuseppe Conte, sostenuto dalla renziana Teresa Bellanova, che condivide la necessità di un «inasprimento delle misure» per scongiurare un’impennata dei contagi. Ma si dice, «preoccupato per la tenuta psicologica e sociale del Paese»: «L’Italia non reggerebbe un nuovo lockdown» generalizzato.


Conte, insomma, non andrebbe più in là della zona arancione su scala nazionale, con bar, ristoranti e confini comunali chiusi, ma con i negozi aperti (anche per non rovinare il lancio del piano cash-back) e con la possibilità per i cittadini di uscire di casa e, pur contravvenendo alla “forte raccomandazione” a non svolgere riunioni tra gruppi di familiari «non conviventi», a festeggiare insieme il Natale. La prova: il premier parla solo di «qualche ritocchino» e di «qualche misura ulteriore», sostenendo che con «l’attuale sistema stiamo contenendo bene l’epidemia».


«CONTE POPULISTA»
Una linea cauta, «impregnata di populismo» secondo un esponente dem, bocciata dal fronte “rigorista” sul quale sono schierati Roberto Speranza (Salute), Boccia e il capodelegazione del Pd Dario Franceschini. Per i tre ministri la soluzione migliore sarebbe la zona rossa, in cui non si può uscire di casa se non per necessità, lavoro o urgenza. Questo per impedire, appunto, che durante le Feste i pranzi e i pomeriggi con tombolate e panettone tra gruppi familiari non conviventi scatenino una nuova valanga di morti e di contagi. Un giro di vite che dovrebbe valere nei 12-13 giorni festivi e prefestivi che vanno dal 23-24 dicembre al 6-7 gennaio. Una posizione illustrata ieri sera da Speranza a Conte in un faccia a faccia notturno in cui il premier ha ribadito e difeso la linea meno rigorista.


Che il proposito di chi vuole la zona rossa sia proprio quello di evitare i contagi in famiglia (sono l’80%) e di «preservare le persone anziane» l’ha detto senza giri di parole Boccia a “Di Martedì”: «E’ utile e necessario restringere ancora di più durante le festività. Ipotizzare assembramenti è folle. Ipotizzare cenoni oltre i conviventi è sbagliato. Abbiamo il dovere di salvare vite. I cenoni li faremo l’anno prossimo». Per poi spiegare il perché della linea della «massima prudenza: «A maggio eravamo arrivati allo 0,5 di indice contagio Rt, ma avevamo davanti giugno, luglio e agosto. Ora grazie alla misure già prese siamo su quella strada, ma abbiamo di fronte gennaio, febbraio e marzo e dobbiamo essere responsabili per mettere in sicurezza le reti sanitarie».


Proprio il fronte “rigorista” attendeva il report del Cts per avere una sponda solida per poter sollecitare la zona rossa nazionale. Una richiesta che avrebbe salvato anche Conte che avrebbe potuto dire, come in passato, “facciamo così perché ce l’hanno imposto i tecnici”. Ma il Cts ha deciso, dopo una lunga battaglia, che «deve essere il governo ad assumersi la responsabilità politica della scelta».


Una linea non interventista che ha innescato una lunga battaglia interna, fino al punto di sancire una clamorosa spaccatura del Cts (gli esperti del ministero della Salute, Achille Iachino, Andrea Urbani e Giovanni Rezza avevano minacciato di non firmare il rapporto), ricucita solo quando nel documento finale è stata inserita la frase: «Vanno inasprite le misure di contenimento del contagio». I tecnici non ha però indicato la zona rossa quale soluzione migliore, come invece avrebbe voluto anche il commissario all’emergenza Domenico Arcuri.
Leggendo in controluce il report del Comitato, l’esecutivo è in ogni caso spinto dagli esperti ad adottare almeno la zona arancione nazionale, oppure quella rossa. 


SUPERIORI A RISCHIO
La sorte delle scuole superiori, che secondo i piani di Conte e della ministra Lucia Azzolina, dovrebbero riprendere il 7 gennaio con la didattica in presenza per almeno il 75% degli studenti, verrà decisa più avanti. Ma appare già segnata. Giovanni Rezza, braccio destro di Speranza, ritiene che «sia ancora presto per dire se potremo riaprire le scuole». Spiegazione: «Dobbiamo tenere bassa la circolazione virale. Ma purtroppo, nonostante abbiamo avuto dei successi, l’incidenza dei nuovi casi è ancora elevata. Questo è il punto cruciale: finché non abbassiamo di molto l’incidenza, è difficile parlare di ripresa completa di tutte le attività». Al Cts confermano: «Di questo passo il ritorno a scuola è un’impresa dura». Del resto la stessa ministra Azzolina dice che si «deciderà a fine anno», i governatori regionali sono contrari e tra i presidi montano i dubbi. Intanto arranca il lavoro dei prefetti per lo scaglionamento degli orari di ingresso a scuola e per avere più mezzi di trasporto pubblico. 
 

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