Che cosa c’è dietro la crociata cattolica

Che cosa c’è dietro la crociata cattolica
di Franco Garelli
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Martedì 8 Gennaio 2019, 00:05
La barca di Pietro non poteva non captare l’Sos umanitario.
Un Sos umanitario lanciato da vari giorni dalle due navi Ong che ospitano a bordo i 49 migranti salvati nel Mediterraneo. Per cui - come già avvenuto l’agosto scorso per la vicenda della nave “Diciotti” - si è prontamente attivata per far sì che questo nuovo dramma trovi una prima soluzione. Così Papa Francesco all’Angelus di domenica ha lanciato il suo appello ai grandi dell’Europa perché esprimano una «concreta solidarietà», evitando di chiamare in causa direttamente chi governa il nostro Paese, ma con l’idea sottintesa che se esso vuole essere grande deve in qualche modo attivarsi per casi disperati come questi. Le parole del pontefice hanno avuto un’immediata eco nella Chiesa italiana, che sembra prendere al balzo quest’ultimo incidente per fare il punto su una situazione nazionale che da tempo le appare rovente. Perché si moltiplicano, giorno dopo giorno, i segni del dissenso ecclesiale circa le scelte politiche e sociali di un esecutivo nato sulla promessa di un profondo cambiamento, teso certamente a garantire la sicurezza pubblica ma migliorando la qualità della vita delle persone e della collettività, voglioso di ridurre le diseguaglianze sociali e addirittura di sconfiggere la povertà, coinvolgendo tutti in un modello di sviluppo più sostenibile; e che – in quanto tale – aveva sollevato non poche speranze in un mondo cattolico pur composto da molte “anime” culturali e religiose. E invece, giorno dopo giorno, i vescovi italiani (e molti gruppi del cattolicesimo impegnato) si scontrano con scelte di governo e con prese di posizione dei suoi leader che sembrano disconoscere queste attese, con un clima politico che alimenta le tensioni e le contrapposizioni sociali, con decreti legge che rischiano di cancellare i diritti fondamentali di stranieri che da tempo vivono nel nostro Paese e di creare dei nuovi ghetti sociali. Inoltre è grande lo sconcerto che si respira nel mondo ecclesiale per quella che è stata definita la “tassa sulla bontà”, capace di complicare la vita alle organizzazioni non profit del Terzo Settore (molte delle quali di matrice cattolica) che da sempre operano per costruire una società più umana e solidale.

È questo lo scenario che spinge i piani alti della Conferenza episcopale italiana a prendere le distanze da una politica che rischia di creare più guasti che soluzioni sociali; e che porta vari esponenti del mondo cattolico (tra cui alcuni vescovi) a prendere posizione in favore dell’obiezione di coscienza al decreto sicurezza del governo. Ed è ancora in un contesto come questo che circola ormai diffusamente nel mondo ecclesiale un’ammissione amara se applicata alla situazione italiana e ai politici che – almeno a parole – si fanno paladini dell’identità cristiana della nazione: «Ha ragione il Papa su questi temi, perché quando la paura di perdere i voti è superiore all’amore e alla solidarietà la società si imbarbarisce». Insomma, si sta registrando oggi una singolare convergenza su questi temi tra il sentire di Papa Francesco e quello di ampi settori del vertice ecclesiale. Un’assonanza mai stata così evidente negli scorsi anni, sia perché rientra tra le corde di questo pontificato la volontà di non farsi coinvolgere nelle dinamiche delle chiese nazionali (nemmeno nelle questioni politiche della nazione che “ospita” il Vaticano), lasciando dunque ai vescovi locali ampia libertà di orientamento e di decisione circa il loro territorio di competenza; sia perché la visione di chiesa di questo pontefice (soprattutto sui temi sociali e umanitari) è stata considerata troppo aperta e destabilizzante da un episcopato italiano da sempre troppo moderato. 

Che cosa c’è in gioco in questa sintonia tra Papa Francesco e i piani alti della Chiesa italiana? Perché i vescovi tornando ad essere protagonisti sulla scena pubblica, ma più per interessarsi di temi politici in senso ampio che sulle tradizionali questioni della bioetica, dei valori non negoziabili, della secolarizzazione dei costumi? L’inquietudine ecclesiale è anzitutto di natura più sociale che religiosa, è dovuta in prima istanza al timore che il paese stia diventando formalmente più sicuro ma umanamente più impoverito, e che a farne le spese siano soprattutto quanti più sono ai margini dello sviluppo. Un’altra preoccupazione riguarda la poca considerazione che alcune forze politiche al potere hanno dell’azione caritativa e solidaristica svolta dal mondo del volontariato (cattolico e non), a cui non si può chiedere di sobbarcarsi anche gli oneri connessi a politiche sociali di fatto ulteriormente restrittive. Insomma, c’è anche un capitale di risorse e di strutture solidali da difendere e sostenere, se si vuole che la chiesa e gli uomini di buona volontà continuino a far la loro parte per il bene comune. 

Ma in questo nuovo attivismo dei vescovi c’è anche un’altra partita, resa evidente dalla solita ruvidezza con cui Salvini commenta anche le critiche che la Cei rivolge al suo linguaggio e al suo operato politico: «Solo qualche pretone fa polemica. Vada una mattina in chiesa, e vedrà come la pensano i fedeli e anche i parroci». Ecco un’ulteriore sfida per la chiesa, relativa alla sua capacità di rappresentare e orientare il proprio clero e i molti italiani che ancor oggi coltivano – pur con intensità diversa – un legame con il cattolicesimo; perché sappiano coniugare legalità e solidarietà, sicurezza e carità cristiana, senza cedere all’insensibilità sociale.
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