Caos decreti, stop del Colle: crescita e sblocca-cantieri ai supplementari

Caos decreti, stop del Colle: crescita e sblocca-cantieri ai supplementari
di Luca Cifoni e Jacopo Orsini
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Mercoledì 17 Aprile 2019, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 16:46

Tutto da rifare: i decreti sblocca-cantieri e crescita dovranno tornare al Consiglio dei ministri per essere di nuovo approvati nella loro forma definitiva. L'indicazione arriva direttamente dal Quirinale, che attende ormai da settimane per la firma i due testi approvati rispettivamente il 20 marzo e il 4 aprile con la formula lasca del salvo intese. In tutti questi giorni le bozze in circolazione tra i palazzi romani si sono progressivamente infittite assorbendo una serie di norme anche molto rilevanti sui temi più disparati; ancora nelle ultime ore ne veniva annunciata la pubblicazione imminente in Gazzetta ufficiale, quando in realtà non era stato ancora formalizzato il passaggio al Colle. Venerdì scorso il Mef era pronto a inviare il testo, ma il ministero dello Sviluppo si è inserito per aggiungere ulteriori correttivi. Così Mattarella, ricevendo ieri il presidente del Consiglio Conte, ha voluto mandare un messaggio chiaro.

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La richiesta all'esecutivo è di stringere i tempi e sottoporre ad un nuovo esame in Consiglio dei ministri i provvedimenti nella loro forma definitiva: a quel punto il capo dello Stato potrà dare il proprio via libera. I due decreti erano passati al vaglio del governo ancora prima del Documento di economia e finanza, al quale sono collegati perché le stime di crescita del Def incorporano l'effetto positivo sul Pil atteso per i prossimi mesi. E proprio sul Def sono in corso le audizioni in Parlamento. Ieri è stata la volta di Banca d'Italia, Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), Istat e Corte dei Conti. È arrivato qualche riconoscimento per la prudenza dell'impianto generale, accompagnato però da avvertimenti per i rischi e le incognite che si pongono per il futuro. Così Bankitalia ha quantificato in 11 miliardi, in tre anni, il costo dell'aumento dei rendimenti sui titoli di Stato da un anno a questa parte. Senza contare gli effetti negativi sulla crescita. «Rispetto alla scorsa primavera, qualora i tassi d'interesse restassero sui valori attesi dai mercati, gli oneri della spesa per interessi sarebbero più elevati per circa 1,5 miliardi quest'anno, 3,5 il prossimo e quasi 6 miliardi nel 2021», ha detto il capo economista Eugenio Gaiotti. Upb e Istat delineano davanti a deputati e senatori una manovra tutta in salita, con una base di partenza di 25 miliardi da reperire solo per dare un po' di ossigeno agli investimenti e neutralizzare l'aumento automatico dell'Iva, in assenza del quale - lo rileva anche via Nazionale - il deficit schizzerà al 3,4%. Gaiotti ha sottolineato poi che un aumento permanente di cento punti base del differenziale di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi, poco meno dell'incremento registrato rispetto a 12 mesi fa, frena il Pil di «0,1 punti percentuali dopo un anno e 0,7 dopo tre». Per far calare lo spread serve la «crescita» ed è necessario dare «un messaggio credibile di riduzione del debito pubblico». «Lo scenario macroeconomico presentato nel Def tiene conto in modo realistico della congiuntura ed è complessivamente condivisibile», ha fatto osservare il rappresentante della Banca d'Italia, rilevando poi a proposito della flat tax che riduzioni del carico fiscale «sul lavoro, se non compensate da razionalizzazioni della spesa o delle cosiddette spese fiscali, condurrebbero ad aumenti del disavanzo non compatibili con la riduzione del peso del debito pubblico». Per evitare aumenti dell'Iva e ridurre le tasse sarà necessario individuare «coperture di notevole entità». Insomma niente taglio delle tasse in deficit.

LE CRITICHE
Anche l'Upb giudica condivisibile il quadro del Def ma ribadisce che «lo scenario macroeconomico a medio termine dell'economia italiana resta condizionato da forti rischi, prevalentemente orientati al ribasso, che inducono cautela nelle previsioni». Nel 2020 serviranno coperture «per 25 miliardi» senza contare le «ulteriori misure compensative» per la flat tax. Quanto alle privatizzazioni previste dal governo (17,8 miliardi nel 2019 e 5,5 nel 2020) il piano potrebbe «rivelarsi in tutto o in parte inattuabile». I tecnici ricordano infatti che tra 2015 e 2018 l'unico anno in cui l'obiettivo è stato centrato è il 2015 «mentre in quelli successivi i risultati sono stati largamente inferiori alle attese». L'Istat mette in evidenza «un quadro caratterizzato da notevoli incertezze», ma definisce «verosimile» una crescita del Pil dello 0,2%, come scritto dal governo nel Def. Il presidente dell'istituto Gian Carlo Blangiardo stima poi che l'aumento dell'Iva «porterebbe a un effetto depressivo sui consumi nell'ordine di 0,2 punti percentuali». Confindustria però si dice favorevole a far scattare in modo selettivo l'aumento dell'imposta se questo servisse a ridurre le tasse. «Con un'equa attenzione al mondo della produzione e soprattutto alle fasce più deboli potrebbe essere un passaggio che ha il suo perché, purché inserito in una riforma più ampia», ha affermato il numero uno degli industriali, Vincenzo Boccia.
 

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