Emanuele Filiberto di Savoia si scusa con la Comunità ebraica per le leggi razziali: «Chiediamo perdono ma non lo pretendiamo»

Savoia, le scuse alla Comunità ebraica per le leggi razziali: è la prima volta nella storia della Real Casa
di Fabio Isman
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Sabato 23 Gennaio 2021, 07:05 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 14:19

«Chiediamo perdono, ma non lo pretendiamo». Lo dice, in un'intervista esclusiva al Tg5, in prossimità del Giorno della Memoria che ricorre il 27 gennaio, Emanuele Filiberto, nipote di Umberto II, ultimo re d'Italia, vissuto a lungo in Svizzera e che ora abita nel Principato di Monaco.
Finora, nessuno della famiglia che ha dominato per un secolo l'Italia, aveva mai avuto, almeno ufficialmente, parole di condanna per le infami leggi razziali, firmate da Vittorio Emanuele III dal 1938 in poi; e, soprattutto, nessuno di loro aveva finora chiesto scusa agli ebrei italiani che, proprio per quelle leggi, hanno pagato un prezzo impossibile perfino da dettagliare.

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LA LETTERA
Lo fa ora appunto Emanuele Filiberto, anche con una «Lettera alla Comunità ebraica italiana» che ha diffuso. È una paginetta, sotto lo stemma della famiglia. Con dei contenuti ben diversi da quelli espressi non troppi anni fa da suo padre, Vittorio Emanuele, che inopinatamente rifiutò in tv di domandare scusa nel 1997, aggiungendo che quelle norme, in fin dei conti, «non erano così terribili».
Ma si ricredette il giorno dopo, e parlò di «grave errore»; e nel 2002, alla vigilia di tornare in Italia, qualificò la firma del nonno su quelle leggi come una «macchia indelebile».
SCUSE SOLENNI
Ora, il figlio, classe 1972, fa decisamente di più. Chiede «ufficialmente e solennemente perdono, a nome della mia Famiglia», ai «fratelli Ebrei»; condanna quelle norme, «di cui sento tutto il peso sulle mie spalle», continua; e, a nome del casato, «si dissocia fermamente» da quello che chiama «documento inaccettabile»: «Un'ombra indelebile» per la famiglia, e «una ferita ancora aperta per l'Italia intera».

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Scuse alquanto tardive? Forse. Però, nemmeno il Parlamento italiano si è mai riunito in modo solenne per chiedere perdono di quanto senatori e deputati hanno sottoscritto nel 1938.
Ci sono state delle norme che hanno abrogato le leggi razziali (subito: le prime firmate da Umberto come Luogotenente, il 20 gennaio 1944); ci sono poi stati altri provvedimenti, in riparazione dell'accaduto; alcuni organismi (ad esempio, 80 università hanno chiesto scusa a Pisa, nel 2018) hanno assunto proprie iniziative. Però, una seduta solenne delle Camere riunite, mai.
Eppure, i Savoia, nella parità dei diritti da riconoscere agli ebrei, non avevano certamente esordito male, e lo ricorda anche questa lettera di Emanuele Filiberto: il 29 marzo 1848, Carlo Alberto li aveva emancipati, tra i primi sovrani europei (anche se, nel Quattrocento, Amedeo VIII, li voleva invece a vivere «insieme, in un luogo separato dai cristiani», senza poter uscire di notte, e con un segno distintivo sulla spalla).


LA VISITA ALLA SINAGOGA
E re Vittorio Emanuele III, lo stesso che firmerà le leggi infami, solo 32 anni prima, nel 1904, aveva visitato la nuova sinagoga a Roma: anche questo ricorda Emanuele Filiberto; si era detto «favorevole alla nascita dello stato ebraico», affermando che «gli ebrei, per noi, sono Italiani, in tutto e per tutto». Poi, però, se ne è evidentemente dimenticato. Senza la sua firma in calce, non sarebbero esistite quelle infami leggi volute da Mussolini: vessazioni davvero terribili e totali, che è forse inutile trascrivere qui ed ora.
RE VITTORIO
Ai «fratelli Ebrei», cui il più giovane dei Savoia scrive con «la mia sincera amicizia e tutto il mio affetto», la lettera ricorda anche le sorti di due tra le figlie di re Vittorio: Mafalda, presa dalle SS con un tranello a Roma, morrà il 28 agosto 1944 nel Lager di Buchenwald «dopo un'atroce agonia»; e «mia zia Maria di Savoia fu deportata, con il marito e due figli, in un campo di concentramento vicino a Berlino».
La missiva vuole pure «riannodare quei fili malauguratamente spezzati»: chissà se sarà possibile.
Di venerdì sera, impossibile chiedere, per la festività di «shabbat» che è già iniziata, un commento autorevole a chi rappresenti gli ebrei; ma forse, nemmeno il principe (che per le norme dell'Italia repubblicana magari non lo è più) si aspetta reazioni troppo favorevoli.

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