Salvini apre la campagna elettorale a Roma e va in pellegrinaggio alla tomba di Mameli

Salvini, pellegrinaggio alla tomba di Mameli al Gianicolo: «Ecco chi sono i nostri modelli»
di Mario Ajello
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Mercoledì 3 Giugno 2020, 12:52 - Ultimo aggiornamento: 14:24

Non s’era mai visto, e Bossi non approverebbe, Matteo Salvini in versione risorgimentale. No, non s’è fatto crescere il barbone alla Garibaldi e non indossa il poncho dell’Eroe dei due mondi. È solo che Salvini ormai pronto alla battaglia per Roma, tutto proteso (ma candidando chi?)  alla conquista del Campidoglio il prossimo anno, e intanto Roma nel 2021 sarà sotto i riflettori del mondo perché c’è l’anniversario dei 150 anni come capitale d’Italia, ha deciso di salire in queste ore al Gianicolo, per una missione speciale. Questa: entrare nel sacrario dei morti del Risorgimento e  onorare la tomba di Goffredo Mameli. Ossia il poeta autore del nostro inno nazionale, aiutante di campo di Garibaldi, caduto a 21 anni nella difesa della Repubblica Romana del 1849. 

Matteo omaggia Goffredo e l’idea di fargli fare questo pellegrinaggio laico è stata del suo amico Francesco Giro, senatore del Centrodestra con doppia tessera: di Forza Italia e della Lega. Ed eccolo Salvini nel mausoleo del Gianicolo. Si mette la mano al petto davanti alla tomba di Mameli, pensa alla storia di questo ragazzo ottocentesco che credeva in un sogno, l’Italia, e poi questo sogno si è realizzato. “Ecco chi sono i nostri modelli”, spiega Salvini a chi lo accompagna: “Sono coloro che hanno la passione per la patria e hanno sempre creduto negli italiani”. Fino a morire per loro, nel caso di Mameli. E il senatore Giro: “I simboli, e Mameli lo è al massimo grado, nella biografia della nazione sono fondamentali. Ma ahimé, questo lo ha capito più il fascismo che la successiva età repubblicana”. 
 



E comunque: per il leader leghista che vuole vincere nella Capitale, che vuole prendere il Campidoglio per il centrodestra, questa visita sul Gianicolo si vede subito che è anche un omaggio a Roma. La città di cui Garibaldi disse nel momento della resa della Repubblica il 30 giugno del 1849: “Dovunque saremo, colà sarà Roma”. 

Mameli morì dopo una straziante degenza presso l’”ambulanza” ( ospedale) nei locali della chiesa di Santa Trinità  dei Pellegrini ( su via dei Pettinari) dove era stato ricoverato per una ferita alla gamba causata nei duri combattimenti presso il Casino dei Quattro Venti ( oggi villa Pamphili) il 3 giugno del 1849 ( la cosiddetta ” Domenica di sangue”)  quando cominciò la difesa della Repubblica Romana contro l’esercito francese comandato dal generale Oudinot. 

Per il milanese Salvini, il giovane eroe Mameli che era nato a Genova è stato anche quello che nel marzo del 1848 organizzò una spedizione di trecento volontari, per andare in aiuto a Nino Bixio durante i moti di Milano e dopo il successo di questa impresa venne arruolato da Garibaldi  con il grado di capitano.

Subito dopo, Mameli  seguì il Generale  a Roma nei giorni che preparavano la nascita della Repubblica e insieme con tanti studenti e giovani provenienti da tutta Italia fu un attivissimo organizzatore e animatore popolare, e quando la Repubblica fu proclamata il 9 febbraio del 1849 inviò a Mazzini il famoso telegramma: “Roma. Repubblica. Venite“. Ma poi la Francia - spiega adesso Giro nella passeggiata gianicolense con Salvini -  tra ambiguità e pulsione repressiva avrebbe dato il peggio di sé contro la Repubblica romana. E il comportamento dell’Austria e del resto d’Europa non fu molto migliore. Ecco, sembra pensare Salvini mentre è in raccoglimento davanti alla tomba del patriota: l’Europa Matrigna esisteva anche allora. 
 
Secondo una versione storica, poco probabile, Mameli in quel 3 giugno del 1849 sarebbe stato colpito  per sbaglio dalla baionetta di un commilitone. Ospedale, dolori tremendi, delirio. La ferita  andò quasi subito in cancrena  per cui l’amico e patriota  Bertani insieme ad altri  medici  decise di amputare la gamba il 3 luglio. L’intervento riuscì bene ma nulla si poté fare contro la sopravvenuta infezione che peggiorò gradualmente fino a causare la morte per setticemia. 

Venne sepolto al Verano dove si trova ancora il suo monumento e nel 1941 i suoi resti sono stati  traslati in questo Ossario Garibaldino al Gianicolo. Dove Salvini guarda la tomba e la accarezza. Sta qualche minuto in raccoglimento. E chissà se conosce quel che aveva scritto Mameli il 10 ottobre 1848 sul Giornale del popolo, quotidiano genovese: “Noi non speriamo nulla dai governi, li riguardiamo come cadaveri. Crediamo invece nel popolo”. Che non è certo il popolo di Salvini, ognuno ha il suo populismo. E Salvini, puntando su Mameli e sull’epopea di Roma a quei tempi, compie un’operazione politica tutta puntata sull’oggi. Usando la storia per la battaglia politica per la sua campagna Capitale.

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