Salvini dice no a Berlusconi: «Non sarò io a mettere in difficoltà Di Maio»

Salvini dice no a Berlusconi: «Non sarò io a mettere in difficoltà Di Maio»
di Mario Ajello
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Martedì 26 Febbraio 2019, 07:34 - Ultimo aggiornamento: 07:35
Si finge addolorato Matteo Salvini: «Avevo 39 di febbre... Ma poi il risultato del voto in Sardegna me l'ha fatta passare!». E parte la battuta: «L'hanno ridicolmente descritto come un testa a testa, è stato un tanto a poco». E in effetti è abissale la differenza tra il successo del centrodestra - ma la Lega sperava in un 20% che non è arrivato - e la disfatta del centrosinistra. Che sarà pure stato in partita ma ne è uscito male.

«È come nel tennis - prosegue Salvini con i suoi - e io come i tennisti, anche se non gioco a tennis e sono un sedentario italiano, mi accontento del 6 a zero. Dopo il 4 marzo, abbiamo vinto tutte le partite, Friuli, Molise, Trento, Bolzano, Abruzzo e ora Sardegna, e il Pd non ne ha vinta nessuna». Un 26% come in Abruzzo ovviamente sarebbe stato meglio, perfetto trampolino di lancio per la vocazione maggioritaria del Carroccio. E invece, Berlusconi sempre più debole è sempre lì, il Partito sardo d'Azione ha rubato voti (nella frammentazione di undici liste per Solinas) al consanguineo leghista, e Salvini ieri non ha staccato il telefono come aveva scherzosamente detto e appena lo chiamerà il Cavaliere sentirà da lui la solita litania: «Matteo, ma non vedi che tutti insieme, con il centrodestra di sempre sbaragliamo qualunque avversario? Lascia perdere Di Maio e i 5Stelle, sono solo degli scappati di casa...».

COLTELLATE
Ma anche al cospetto delle coltellate inferte dai sardi ai grillini - le Idi Di Maio, è la battuta che gira - Salvini non si smuove di un millimetro dalla sua «lealtà» al leader stellato, con cui si sono scambiati anche ieri sms di comunanza e solidarietà. «Non sarò certo io - ragiona Salvini - a mettere in difficoltà Luigi». E non sarà certo lui, nonostante il pressing interno alla Lega, a cedere alle sirene berlusconiane. E a chi insiste dicendo che ha la forza per forzare, almeno puntando a un rimpasto (espressione che gli provoca l'orticaria) o addirittura a qualcosa di più, lui risponde che il tema non gli interessa affatto: «Non chiedo né ministri in più né premiership». E vive la strana situazione di chi è inchiodato da una parte al centrodestra, come dimostrano queste e le altre regionali (ma in Abruzzo ha perso la pazienza Matteo contro Forza Italia: «Litigano per un assessore in più, ora basta!»), e dall'altra parte è inchiodato a M5S sul piano del governo nazionale.

Qualcuno descrive questa doppia situazione - ma non è detto che sia scomoda - come il paradosso del prigioniero libero. Ma lui non va tanto per il sottile: «Sardegna? Missione compiuta!». E la crisi? «Crisi? Ma quale crisi!» (Che è tra l'altro la tradizione in italiano di uno splendido vecchio disco dei Supertramp).
Intanto Salvini avverte: «Incontrerò in settimana i pastori al Viminale. Ma quello che picchiano, che usano bastoni e addirittura armi sono delinquenti e non allevatori come tutti gli altri». Quando legge sui siti, prima di andare a parlare alla Luiss e poi in televisione, che «il Pd riparte dalla Sardegna», Matteo se la ride di nuovo: «Ah, sì? Buona fortuna. Ha preso 10 punti in meno rispetto alle ultime regionali...». Ma il problema non è questo. È il Berlusconi ringalluzzito che tampina l'alleato: «Gli italiani hanno mollato Di Maio, ora lo devi mollare anche tu, caro Matteo». E più quello glielo dice, più l'altro non lo fa: «Io non sono più forte e Di Maio non è più debole».
 
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