Roma, lettera al premier/Fino a quando dovremo subire questa pena?

Roma, lettera al premier/Fino a quando dovremo subire questa pena?
di Mario Ajello
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Sabato 5 Settembre 2020, 00:47 - Ultimo aggiornamento: 17:38

Egregio presidente Giuseppe Conte, intervenga lei. Magari convochi al più presto, possibilmente subito, un consiglio dei ministri.

Con all’ordine del giorno un unico punto: Roma non può più sopportare il declino al quale viene condannata e il governo intende farsi carico del destino della Capitale italiana. E’ chiedere troppo, signor presidente?
Il problema evidente a tutti i romani, e che dalle finestre di Palazzo Chigi non si può non vedere, e che Roma è sola. I partiti, a cominciare dal Pd e da M5S, che sono la spina dorsale del suo governo, non svolgono il ruolo che dovrebbe loro competere come obbligo politico e dovere patriottico: quello di difendere la Capitale.


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E di non farla sopravanzare - come è accaduto nel caso delle due nuove sedi delle agenzie europee - da una ex capitale come Torino e da una cosiddetta “capitale morale” quale sarebbe Milano, che ogni volta, al contatto con la realtà, dimostra l’inconsistenza e la falsità di questa etichetta di cui si fa teoricamente vanto.



Questo è il momento di affrontare una volta per tutte - senza più dare l’impressione di non vedere, tipica anche dei governi che hanno preceduto il suo - il tema di che cosa deve rappresentare Roma nel contesto del Paese. Di considerare l’Urbe come la considerava il conte di Cavour nel 1860 (“L’unica città italiana che può vantare non unicamente tradizioni municipalistiche ma anche una dimensione universale”). Di darle poteri, risorse e forze che soltanto con l’impegno diretto del governo possono diventare operative, affiancando la Capitale italiana allo status e al rango di tutte le altre, da Parigi a Madrid e a Berlino.

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Mai come adesso, è necessario attivare subito questo sforzo di lungimiranza. Per una metropoli che perde pezzi, davanti al sonno e all’inerzia di una amministrazione capitolina che in questi anni ha toccato lo sprofondo del nulla e l’insostenibile pesantezza di un fallimento conclamato, e che vede andare via senza reazioni dello Stato e nell’indifferenza della giunta Raggi pezzi importanti della sua economia. Parliamo di Mediaset, Sky, Esso, Opel, Consodata, Total Erg, Baxalta e altri che hanno delocalizzato altrove le proprie attività. Un depauperamento Capitale non più sopportabile. Quousque tandem, signor presidente?

Questa è una metropoli che merita di più perché dà già tanto alla nazione che rappresenta. Questa Capitale - non varrebbe la pena ricordarlo a lei, ma il momento impone di farlo - è una grandissima città dell’industria chimica e farmaceutica, dei servizi informatici e delle telecomunicazioni, delle attività finanziarie e assicurative, dei servizi professionali, dell’immobiliare e del manifatturiero. E come non tenere conto dell’audiovisivo (si pensi al ruolo degli Studi di Cinecittà) e dell’aerospazio, con il portato di innovazione tecnologica e di preparazione scientifica dei suoi operatori? E ancora, Roma ospita un enorme patrimonio di centri di sapere e di ricerca.

Accoglie la più grande università d’Europa, la Sapienza, e una vastissima galassia di atenei pubblici e privati, istituti e centri di studio che fanno dell’intero Lazio una delle aree geografiche più significative a livello continentale. Sprecare una risorsa, dilapidare un patrimonio in nome degli interessi del Nord è il massimo dell’autolesionismo per una Paese che non avrà futuro, se continuerà a impaludarsi negli squilibri territoriali. E proprio perché siamo in una fase di crisi, innescata dall’emergenza Covid, occorre non lasciare che una crisi diventi un’occasione sprecata e rimediare subito puntando su Roma, cioè sull’Italia, in discontinuità rispetto alle miopie e agli strabismi che finora hanno avvantaggiato una parte del Paese a scapito dell’altra.

Luigi Einaudi - e immaginiamo che lei, professor Conte, conoscerà a memorie le sue pagine, e nel caso non sia così la lacuna è riparabile in breve tempo - sosteneva che “le crisi sono il prezzo da pagare perché le nuove idee, le nuove scoperte, i nuovi metodi di organizzazione del lavoro possano affermarsi. Senza le crisi non avremmo avuto le ferrovie, le bonifiche e le città moderne”. Roma ha la forza per sviluppare la sua modernità, perché non è mai diventata una città pietrificata come Tebe, e va politicamente sostenuta nelle sue aspirazioni. Finora vilipese e negate dalla sindaca, che in maniera irresponsabile vorrebbe infliggere un supplemento di pena ai romani.
Il governo deve capire che Roma ben più di Milano o di Torino non può non essere una sede di rappresentanza di istituti internazionali - come l’agenzia dei brevetti o quella per l’intelligenza artificiale - che partecipano allo sviluppo produttivo, fanno Pil, creano indotto, significano rango e ricchezza.

E non si tratta soltanto di Roma ma del Centro-Sud nel suo complesso. In una fase di difficoltà da ripartenza, e con il Mezzogiorno che soffre molto più degli altri secondo l’ultimo rapporto Svimez, l’autorità politica centrale deve ragionare in senso patriottico. E fare da supplenza all’antipolitica che vige da quattro anni in Campidoglio. Mentre i sindaci del Nord, da Sala alla Appendino, si sono dati da fare nella battaglia per le sedi delle agenzie europee, la Raggi è rimasta ferma nella sua imperizia e inconcludenza. E s’è confermata prigioniera volontaria di arcaismi ideologici che non servono più a niente e di falsità propagandistiche del tipo - signor presidente, non sorrida, please - che a Roma la sua giunta ha già riparato il 90 per cento delle buche stradali e ha risistemato (all’insaputa di tutti) l’Atac e l’Ama.

Roma ha sempre fatto la storia. Quindi non può tollerare di diventare un peso morto. Se una classe dirigente accetta questa diminutio, non è degna di essere considerata tale. E diventa responsabile di una diserzione grave. Non solo riguardo al passato ma soprattutto a scapito del futuro.
Certi della sua attenzione, e in attesa di riscontri pratici, le rivolgiamo, egregio presidente Conte, i nostri più rispettosi saluti.
 

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