Roma senza Agenzie Ue, il grido delle eccellenze: «Palazzo Chigi ci blocca»

Roma senza Agenzie Ue, il grido delle eccellenze: «Palazzo Chigi ci blocca»
di Lorenzo De Cicco e Diodato Pirone
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Domenica 6 Settembre 2020, 00:36

Maurizio Stirpe, vicepresidente di Confindustria, ricorda che quando Milano venne candidata a sede dell’Agenzia europea del farmaco, nel 2016, «Raggi disse che non era una priorità per Roma». Anche se il Lazio è la prima regione esportatrice di farmaci d’Italia, con il 42% del totale nazionale. «E quell’agenzia - riprende il vicepresidente degli industriali - valeva quanto il Tribunale unificato dei brevetti», l’altro ente comunitario per il quale il governo ha appena deciso di schierare il capoluogo meneghino, assegnando intanto a Torino, come ricompensa, l’Istituto di intelligenza artificiale. E Roma? Oltre allo scippo, la Capitale rischia di pagare un prezzo alto in termini di ricerca e sviluppo, come rimarcano, dopo l’annuncio di Palazzo Chigi, esponenti di primo piano del mondo dell’economia, dell’innovazione digitale, della scienza.

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«Queste agenzie aiutano la ricerca e le imprese - riprende Stirpe - È impensabile che Roma non abbia centri internazionali di questo tipo, dato che abbiamo una dotazione universitaria così importante». Per il vicepresidente di Confindustria, «il Paese non può essere diviso in compartimenti stagni. Il governo, specialmente ora, con le risorse che arriveranno dal Recovery Fund, deve indicare qual è la visione complessiva del Paese: che ruolo deve svolgere il Nord, quale il Centro Italia, e quali missioni bisogna dare al Sud. Ma anche gli amministratori locali, come Raggi, devono muoversi».

Favorendo l’«asse del Nord Ovest», come diceva la nota di Palazzo Chigi nel giorno della doppietta per Torino e Milano, «si penalizzano tutti i ricercatori in gamba che operano nel Centro-Sud», è convinto Rocco Bellantone, preside della facoltà di Medicina dell’università Cattolica e direttore del governo clinico del policlinico Gemelli. «Non è una bega geografica, la sede di queste agenzie ne condiziona gli investimenti: spesso la scelta dei progetti in cui questi enti investono risente anche della loro collocazione geografica». Lo smacco per Roma, riprende, «è figlio di vecchi preconcetti, come se in città non ci fossero eccellenze in campo scientifico e universitario».

«Purtroppo la storia, per Roma, si ripete. Dire che è preoccupante è un eufemismo», commenta Piero Di Lorenzo, amministratore delegato di Irbm, il colosso farmaceutico di Pomezia che con l’università di Oxford sta sviluppando uno dei vaccini anti-Covid. «La Capitale vive una fase di declino inspiegabile per le sue potenzialità, tutto il tessuto economico soffre di queste scelte che, a livello industriale, pesano». Intorno ad una grande agenzia internazionale, prosegue Di Lorenzo, «si formano quasi in automatico satelliti e si crea sviluppo. Roma avrebbe tutte le carte per competere, ma è costretta a subire un danno».
«Com’è possibile che la città più popolosa del Paese, la Capitale, non sia stata presa in considerazione per la collocazione di agenzie, autorità e organizzazioni europee che nascono per gestire il futuro dell’economia e della società?», si chiede Rosario Cerra, presidente del Centro di Economia Digitale. I brevetti e l’intelligenza artificiale, aggiunge, «non sono solo temi per i quali verranno assunte persone, sono soprattutto ecosistemi iperqualificati che metteranno in moto, per quel territorio, dinamiche di sviluppo nazionali e internazionali».
Il sociologo Giuseppe Roma, ex direttore generale del Censis, ricorda che a Roma è concentrato il 60% della ricerca italiana con il Cnr ma anche, tra l’altro, con centri d’avanguardia come quello dell’Enea di Frascati. «Da questo punto di vista la scelta di trascurare la Capitale per l’indicazione delle Agenzie europee è incomprensibile - sottolinea - Il governo deve tornare ad investire su Roma perché Roma garantisce ricadute per tutta l’Italia. Al tempo stesso la Capitale dovrebbe puntare a recuperare un ruolo internazionale: qui si è fatta l’Europa nel ‘57 e qui c’è la Fao, che fa capo all’Onu ma che si trova a Roma perché tanti anni fa la città offrì un terreno a un famoso agronomo che si chiamava Lubin. Ecco, occorre fare in modo che la città torni ad aprirsi alle reti mondiali».
 

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