Renzi, Lorenzo Guerini: «Ho provato a convincerlo: così rafforza i sovranisti»

Lorenzo Guerini
di Alberto Gentili
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Mercoledì 18 Settembre 2019, 08:35 - Ultimo aggiornamento: 12:31

Ministro Guerini, Renzi se n'è andato.
«Sono molto dispiaciuto e molto amareggiato. Ogni volta che una comunità politica subisce una scissione, è una comunità che rischia di indebolirsi. Penso che militanti ed elettori siano disorientati di fronte a questa scelta che io trovo sbagliata. Ma ora dobbiamo affrontare la situazione con responsabilità, intelligenza e senza isteria».

Forse anche con qualche respiro di sollievo? Renzi dice di essere sempre stato considerato un corpo estraneo.
«Con Matteo ho condiviso le primarie del 2012 e gli anni in cui è stato segretario, sono stato suo vice. Dunque se lui era considerato un corpo estraneo, lo sarei stato pure io. Ma nel Pd mi sono sempre sentito parte di questa bella e grande comunità. E gli elettori e i militanti del Pd hanno dato tanto a Renzi, come lui ha dato tanto a loro».

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Lei era un suo amico: ha provato a farlo desistere?
«Penso di poter dire di essere ancora un suo amico. Per questo gli ho parlato più volte, spiegandogli che non vedevo la ragione della scissione e di un'ulteriore divisione del centrosinistra. Senza contare che le scissioni non hanno mai portato grande fortuna a chi le ha fatte. Il riformismo ha grande impatto quando può far leva su una forza politica importante, rappresentativa, presente e radicata nella società, altrimenti rischia di essere solo sterile testimonianza e di non contribuire a risolvere i problemi dei cittadini».

Sono tanti i renziani storici, compresi Lotti, Nardella e Gori che non hanno seguito Renzi.
«Anche sui territori in molti hanno ritenuto di continuare la battaglia dentro il Pd. Probabilmente questa scelta appare più un'operazione parlamentare che politica. E' una scelta che rispetto ma non condivido. Noi di Base riformista andiamo avanti a far il nostro lavoro dentro al Partito democratico».

Come si spiega la decisione di Renzi? Con la voglia di contare, di sedersi al tavolo del governo con le proprie bandiere e identità? Di poter dire la sua sulle nomine e sui dossier importanti?
«Mi auguro che chi aveva l'ambizione di cambiare il Paese, ora non abbia ripiegato sulla voglia di cambiare i consigli di amministrazione. Sono però certo che non sia così. Battute a parte, il Pd in questo ultimo passaggio ha affrontato la crisi di governo in modo unito e cogliendo anche le indicazioni che Renzi ha dato, tant'è che è stato uno dei protagonisti di questa svolta. Ed è per questo che, a maggior ragione, ritengo che la scissione sia ancora meno comprensibile».

Grillo ha detto che l'ha fatto per narcisismo, finendo però per fare «una minchiata al pari di Salvini». Concorda?
«Di narcisismo Grillo se ne intende, ma mettere sullo stesso piano Renzi e Salvini mi pare questa sì, per usare le parole di Grillo, una minchiata».
 


Renzi pensa con il suo partito di coprire lo spazio al centro. Non crede che diversificare l'offerta politica, intercettando gli elettori moderati, possa essere utile al centrosinistra?
«L'ambizione dei riformatori è parlare a tutti. L'idea di dividersi il lavoro, con qualcuno che parla ai moderati e qualcun altro alla sinistra, si è già dimostrata fallimentare per il centrosinistra. Il Pd si propone di parlare a tutti gli italiani, rafforzando e rilanciando la sua vocazione maggioritaria».

Per esaltare la vocazione maggioritaria servirebbe il maggioritario, invece si vira verso il proporzionale puro. O no?
«Vedremo quale legge elettorale si farà, il tema va ancora affrontato. Se si dovesse scegliere il proporzionale, in ogni caso dovrà essere fissata una soglia di sbarramento significativa per evitare la polverizzazione del sistema politico. Ciò detto, la vocazione maggioritaria di un partito non può essere legata solo al sistema elettorale, ma all'ambizione di parlare in modo convincente a tutto il Paese, senza confinarsi nella rappresentanza di una parte di esso».

Conte ha stigmatizzato la decisione di Renzi, ha detto che doveva dirlo prima. Pensa che la scissione rappresenti una minaccia per il governo?
«Mi auguro di no. Ma ogni volta che si introduce un elemento di divisione si rischia di indebolire il fronte contro il sovranismo e la destra».

Il quadro dell'esecutivo e della maggioranza muta radicalmente: prima eravate in due, voi e M5S, adesso si è aggiunto Renzi. Sarà la terza gamba del governo?
«Concretamente sarà un altro gruppo parlamentare che agisce nell'ambito della maggioranza. Dopodiché oggi l'urgenza è occuparsi dell'Italia, delle sfide che l'attendono, e della vita concreta degli italiani».

Per affermare il suo nuovo partito, per marcarne l'identità, Renzi dovrà dire la sua su tutti i dossier. A cominciare dalla legge di bilancio. Rischia di essere un elemento destabilizzante?
«Credo che debba stare a cuore a tutti dare stabilità e forza al governo. Guardiamo al lavoro impegnativo e serio che dobbiamo fare».

Renzi adesso avrà insegne e titolo per far cadere il governo. Lei lo conosce: lo farà? O attenderà l'elezione del nuovo capo dello Stato nel 2022?
«Sto agli enunciati. Renzi garantisce che non intende colpire l'esecutivo».

Franceschini parla di «grande problema» e ricorda le divisioni di liberali, cattolici e socialisti che all'inizio degli anni Venti spianarono la strada a Mussolini. Il non detto: ciò che è accaduto dà più forza a Salvini. E' d'accordo?
«Le scissioni rafforzano gli avversari. In questo caso un avversario in debito di ossigeno. Ma se il governo lavorerà bene, come sono sicuro, questo rischio non c'è».

E cosa accade al Pd dopo questa scissione?
«E' evidente che già con l'avvio di questo governo il Partito democratico è entrato in fase politica nuova che ha superato le dinamiche uscite dal congresso. Per questo è necessario che tutti contribuiscano a dare ancora più forza al nostro partito, sia nel sostegno al governo sia nel suo radicamento tra le persone, intensificando la sua vocazione riformatrice. Base riformista non si tirerà certo indietro».
 

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