Renzi e Calenda, cosa è successo? Dai finanziamenti al potere fino alla fusione: ecco i motivi della lite

Dopo giorni convulsi in cui sono rimbalzate accuse reciproche, documenti "risolutivi" e ipotetiche strategie, è complicato immaginare che una lite di questa portata possa trasformarsi nell'atteso matrimonio

Calenda-Renzi, cosa è successo? Dai finanziamenti al potere fino alla fusione: ecco i motivi della lite
di Francesco Malfetano
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Mercoledì 12 Aprile 2023, 15:03

Cronaca di una morte annunciata. Forse non servirebbe scomodare Gabriel Garcia Marquez per raccontare come si sta sconquassando il mai partito unico del Terzo Polo. Eppure quando mancano poche ore alla riunione del comitato politico di Azione e Italia Viva (ore 18.30, nella sede dei calendiani) il destino della creatura abbozzata da Matteo Renzi e Carlo Calenda prima delle elezioni politiche di settembre scorso, pare decisamente già segnato. Dopo giorni convulsi in cui sono rimbalzate più o meno ovunque accuse reciproche, documenti "risolutivi" e ipotetiche strategie nascoste e divergenti, è complicato immaginare che una lite di questa portata possa trasformarsi nell'atteso matrimonio.

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LA CRISI

Anche perché le radici della crisi del Terzo polo sono ben più profonde dei risultati non certo entusiasmanti raccolti fino ad ora (l'ipotesi di una rottura del resto non stravolgerebbe in alcun modo l'arco parlamentare).

Risiedono innanzitutto nello scontro tra due personalità esplosive che, fin dal tavolo fatto saltare da Calenda con il Pd prima del 25 settembre, si sono rese protagoniste di un'unione che si può quantomeno definire farraginosa. Tant'è che se il casus belli sembra risiedere nella direzione del Riformista accettata dall'ex premier, alcune ricostruzioni (smentite dal diretto interessato) vedrebbero Calenda ancora "scottato" dall'operazione compiuta dai renziani per provare ad ottenere la vigilanza Rai in cambio del sostegno a presidente del Senato di Ignazio La Russa.

A rivedere solo il film dell'ultime ore la vicenda appare però ben più ingarbugliata di così. «Basta con i tatticismi - tuonava infatti all'Ansa una non meglio fonte autorevole di Azione - Matteo Renzi non vuole sciogliere Italia Viva per confluire assieme ad Azione nel partito unico liberaldemocratico, non vuole finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali». Un j'accuse che porta immediatamente al lancio di stracci tra calendiani e renziani. Tete-a-tete ideologici e in punta di statuto che però nasconderebbero una più terrenea divisione sui fondi da destinare all'ipotetico progetto comune e la tempistica in cui realizzarlo. Calenda - che pubblicamente smentisce le voci di una prossima rottura («ma figuriamoci!») - accusa Renzi di tirarla per le lunghe e di non voler arrivare al matrimonio per mantenersi la “scatola” di Italia Viva come centro di potere. E quindi chiede «garanzie scritte» sullo scioglimento di IV e, soprattutto, sulla messa in comune dei finanziamenti per affrontare la campagna elettorale per le europee del 2024. Argomentazione a cui lo stesso ex premier ha risposto ieri sera parlando con i suoi in una lunga riunione. «Lo scioglimento di Italia Viva? È evidente che se facciamo il partito unico si scioglie Italia Viva, come si scioglie Azione. Ma lo scioglimento anticipato non si è mai visto nella storia. Va contro le leggi della fisica: prima si fa il partito unico che non può che essere un partito fondato su un percorso democratico dal basso». Cioè la richiesta renziana è quella di una leadership contendibile. «Si faccia un congresso - ha attaccato Davide Faraone - non un'incoronazione». 

 

I NODI

Più che la leadership però, il vero nodo della contesa sono i finanziamenti. Lo scorso anno dal 2 per mille Azione ha ricevuto circa 882mila euro e Italia Viva 887mila. Le tappe immaginate per arrivare al partito unico prevedono quindi che dopo il congresso di ottobre (e dunque con la dichiarazione dei redditi del 2024), il 2 per mille sarà devoluto al partito unico. I fondi però arriverebbero a dicembre, lasciando inevasa la domanda "con quali soldi si farà la campagna elettorale per le europee di giugno?". Motivo per cui Calenda ha immaginato di mettere in comune il 70% dei fondi che arriveranno a dicembre 2023. Un anticipo necessario che però, svuoterebbe le casse dei partiti originari e, quindi, la leadership di Renzi e Calenda. Perplessità però rigettate dai renziani. 

«Giova ricordare che Italia Viva ha contribuito in modo paritetico rispetto ad Azione a tutte le campagne elettorali del Terzo polo - ha spiegato il fedelissimo Francesco Bonifazi - La scelta di come destinare i soldi è stata presa dal senatore Calenda che ha optato nella stragrande maggioranza dei casi per affissioni recanti il suo volto e il suo nome. Italia Viva ha contribuito al momento per oltre un milione e 200mila euro. Quanto al futuro 2 per mille, andrà ovviamente alla struttura legittimata dal congresso democratico». Differenze di vedute evidenti che potrebbero sperare di essere sanate solo in virtù di una pax dettata dalla necessità di incassare nuovi fondi. La "morte annunciata" infatti, non giova a nessuno dato che il ritorno ai due partiti farebbe perdere al Terzo polo i numeri per i gruppi unici in Parlamento, perdendo così anche il finanziamento pubblico riservato, per circa 50mila euro a parlamentare all'anno (9 al senato e 21 alla Camera). 

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