Regionali in Sardegna, l'incubo M5S: dimezzare i propri voti

Regionali in Sardegna, l'incubo M5S: dimezzare i propri voti
di Mario Ajello
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Domenica 24 Febbraio 2019, 10:16 - Ultimo aggiornamento: 11:59

Un anno dopo. Il 4 marzo 2019 sta per arrivare e nel calendario pentastellato sembra trascorso un secolo dal 4 marzo 2018. In dodici mesi, dall'apoteosi dell'«ora comincia finalmente la Terza Repubblica, la Repubblica dei Cittadini!» (così proclamò Luigi Di Maio la notte del trionfo elettorale) si è passati all'evaporazione del 40% delle politiche (e del 30 in certe zone e del 5O in certe parti del Sud) e al dimezzamento nei sondaggi e nei voti reali, come in Abruzzo e probabilmente oggi in Sardegna, passando dai super flop in Friuli, in Molise, in Trentino.

Ecco, il film intitolabile Un anno dopo è un horror grillino. O è la versione tragica e realistica dell'ultima commedia di Enrico Vanzina (regia Marco Risi): quella in cui l'ubriacatura di potere e la straordinaria inesperienza di governo del movimento finiscono sotto gli occhi degli spettatori. Compresi quelli che puntarono un anno, cioè un secolo, fa su M5S e ora sono spariti: per lo più nell'astensione. «Dobbiamo cambiare tutto», è lo slogan motivazionale di Di Maio; «I grillini non ci sono più», è lo sfogo del requiem teatrale di Grillo; e il Dibba è ricomparso e riscomparso come maschera dell'insostenibile leggerezza dell'essere pentastellati al tempo del governo e della supremazia di Salvini.
 



I TRADIMENTI
Un anno dopo la crisi è dovuta forse ai tradimenti - dall'Ilva al Tap, dal sostegno alla banche al no all'autorizzazione a procedere per il leader leghista - o forse dal non aver avuto il fegato di tradire fino in fondo. Cioè di ammettere che l'impatto con realtà impone scelte serie su tutto e non aggiustamenti tattici tra il richiamo della foresta identitaria e il politicismo da governabilità. Winston Churchill, nel suo primo discorso alla Camera dei comuni, disse: «Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore». Forse avrebbero dovuto, e dovrebbero, ripetere queste parole Di Maio e gli altri, per tenersi il tesoro elettorale che si sta dissolvendo? Hanno preferito perdere la faccia piuttosto che la purezza, senza convertirsi davvero al pragmatismo del sì - il No Tav è soltanto uno dei no - che anche gran parte dei loro elettori si sarebbero aspettati. E chissà se la svolta - «Fare alleanze civiche e strutturarci come un vero partito», è il nuovo mantra di Di Maio - basterà a combattere la mestizia e a fermare l'emorragia. Magari sì, perché, «in questi anni ci hanno dato per morti tante volte ma sempre invano», dice il leader M5S e in effetti ha ragione: non è mai detta l'ultima parola.

Però il cambiamento sembrava un gioco di prestigio, un anno fa: e oggi somiglia invece a un giocattolo rotto. E ieri nell'incontro tra Di Maio e i grillini sardi il mood questo era: «È vero, pensavamo di vincere in Sardegna ma almeno entreremo in consiglio regionale».
MARCIA TRIONFALE-FLOP
Dalla marcia trionfale di un 4 marzo, insomma, ai premi di consolazione alla vigilia del 4 marzo successivo. E giù recriminazioni contro l'ex junior partner diventato padrone: «Salvini è un illusionista, noi invece...». Un anno dopo c'è il passato di un'illusione. E c'è la consapevolezza, tardiva, dell'errore di aver preso i ministeri economici - due, addirittura, per Di Maio: una bella grana - lasciando giocare Salvini con gli immigrati su cui riscuote visibilità e applausi. Mentre è tutto da vedere se la panacea del reddito di cittadinanza si rivelerà efficace per il rilancio necessario o se s'incepperà anche questo trampolino che aveva ben funzionato il 4 marzo scorso. E adesso, certamente Di Maio e gli altri staranno dando ragione alla massima di un bravo politologo, Moises Naim: «Il potere non garantisce più gli stessi privilegi di un tempo. Nel XXI secolo, esso è diventato più facile fa conquistare, ma più difficile da esercitare e più semplice da perdere».
 

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