Referendum, con la vittoria del Sì impossibile sciogliere le Camere: serve una nuova legge elettorale
In attesa di capire se in futuro il mini-Senato sarà riformato eliminando l’anomalia tutta italiana di due Camere che fanno lo stesso lavoro, il nodo più delicato da sciogliere è sicuramente quello della legge elettorale. Perché è necessario farne un’altra o correggere a fondo quella che c’è? Per un motivo molto semplice: con così pochi senatori in alcune Regioni piccole (oggi la Costituzione dice che il voto al Senato è su base regionale) andare a votare sarà inutile perché già si sa chi sarà eletto. Prendiamo il caso della Liguria. I senatori scendono da otto a cinque, tre dei quali eletti in base al proporzionale e due nei collegi uninominali superstiti. Sulla base della legge attuale i tre eletti del proporzionale saranno i primi del listino di Lega, Pd e 5Stelle (o Fratelli d’Italia se questo partito dovesse superare i pentastellati nella Regione) mentre i due della quota maggioritaria sarebbero entrambi quelli indicati dalla Lega (o dal Pd). Gioco, partita e incontro, come si dice a tennis, per i 5 fortunati neosenatori e fine di ogni utilità delle elezioni. La necessità di una nuova legge elettorale è dunque evidente anche se fra le forze politiche si sta pensando anche ad una modifica costituzionale per accorpare più Regioni nel voto del Senato per evitare storture come quella ligure.
TRE SASSI NELLA PALUDE
Ma varare una legge elettorale è sempre impresa difficile. Quella alla quale lavorano le forze di maggioranza (ma forse Italia Viva ci ha ripensato) prevede il ritorno al proporzionale ma con uno sbarramento al 5% che potrebbe avere effetti più selettivi del maggioritario all’italiana che invece di ridurre il numero dei partiti lo ha aumentato. Al momento il testo della riforma elettorale proporzionale è nella cosiddetta legge Brescia (dal cognome del presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera) che è stata adottata il 10 settembre come testo base e che andrà in Aula lunedì 28 settembre, sette giorni dopo il referendum. L’accordo di maggioranza, in base al quale il Pd votò “sì” nella lettura definitiva della legge sul taglio dei parlamentari, comprendeva poi tre mini riforme costituzionali condensate in due progetti che dovrebbero arrivare al traguardo nei prossimi mesi. La prima riforma è l’allineamento dell’elettorato attivo e passivo del Senato a quello della Camera. Oggi al Senato si vota a 25 anni e si è eletti a 40 anni. Con la riforma anche al Senato si voterebbe a 18 anni e si potrebbe essere eletti a 25.«Si tratta di superare un’anomalia democratica poiché nessuna Camera elettiva esclude una parte dei cittadini maggiorenni ed anche un’irrazionalità perché finché entrambe le Camere danno la fiducia al governo vanno ridotte al minimo le possibilità di maggioranza divaricanti», spiega Stefano Ceccanti costituzionalista e deputato Pd. Come tutte le modifiche costituzionali la riforma va votata 4 volte. La Camera l’ha già approvata una volta. Il testo è stato confermato dal Senato il 9 settembre. Deve ora fare i passaggi finali a Camera e Senato ma potrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno. Un’altra mini-riforma costituzionale (quindi sempre da varare con quattro voti) è quella della riduzione del numero dei delegati regionali che eleggono il presidente della Repubblica.
Oggi sono 58 e la proposta in discussione in Parlamento ne prevede il calo a 39.
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