Referendum, «Parlamentari, tocca agli stipendi». E la riforma elettorale è più vicina

Referendum, «Parlamentari, tocca agli stipendi». E la riforma elettorale è più vicina
di Diodato Pirone
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Martedì 22 Settembre 2020, 01:04
E ora? Giusta o sbagliata che sia la riduzione del numero dei parlamentari equivale ad un sasso lanciato nello stagno del nostro sistema istituzionale che non funziona da decenni. «Ora un invito sia al fronte dei Sì che al fronte del No: riduciamo anche gli stipendi dei parlamentari», rilancia immediatamente Luigi Di Maio. Dal taglio dei parlamentari il risparmio è di appena un centinaio di milioni l’anno. In ogni caso le onde avranno effetti a tutto tondo e fatalmente bisognerà varare dei correttivi per impedire ad una riforma semplice calata in un sistema complicato di fare più male che bene. In tal senso quando nacque il governo Conte bis Pd-M5S firmarono un accordo per varare una serie di riforme per governare il taglio dei parlamentari.

Referendum, con la vittoria del Sì impossibile sciogliere le Camere: serve una nuova legge elettorale

In attesa di capire se in futuro il mini-Senato sarà riformato eliminando l’anomalia tutta italiana di due Camere che fanno lo stesso lavoro, il nodo più delicato da sciogliere è sicuramente quello della legge elettorale. Perché è necessario farne un’altra o correggere a fondo quella che c’è? Per un motivo molto semplice: con così pochi senatori in alcune Regioni piccole (oggi la Costituzione dice che il voto al Senato è su base regionale) andare a votare sarà inutile perché già si sa chi sarà eletto. Prendiamo il caso della Liguria. I senatori scendono da otto a cinque, tre dei quali eletti in base al proporzionale e due nei collegi uninominali superstiti. Sulla base della legge attuale i tre eletti del proporzionale saranno i primi del listino di Lega, Pd e 5Stelle (o Fratelli d’Italia se questo partito dovesse superare i pentastellati nella Regione) mentre i due della quota maggioritaria sarebbero entrambi quelli indicati dalla Lega (o dal Pd). Gioco, partita e incontro, come si dice a tennis, per i 5 fortunati neosenatori e fine di ogni utilità delle elezioni. La necessità di una nuova legge elettorale è dunque evidente anche se fra le forze politiche si sta pensando anche ad una modifica costituzionale per accorpare più Regioni nel voto del Senato per evitare storture come quella ligure.

 

TRE SASSI NELLA PALUDE

Ma varare una legge elettorale è sempre impresa difficile. Quella alla quale lavorano le forze di maggioranza (ma forse Italia Viva ci ha ripensato) prevede il ritorno al proporzionale ma con uno sbarramento al 5% che potrebbe avere effetti più selettivi del maggioritario all’italiana che invece di ridurre il numero dei partiti lo ha aumentato. Al momento il testo della riforma elettorale proporzionale è nella cosiddetta legge Brescia (dal cognome del presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera) che è stata adottata il 10 settembre come testo base e che andrà in Aula lunedì 28 settembre, sette giorni dopo il referendum. L’accordo di maggioranza, in base al quale il Pd votò “sì” nella lettura definitiva della legge sul taglio dei parlamentari, comprendeva poi tre mini riforme costituzionali condensate in due progetti che dovrebbero arrivare al traguardo nei prossimi mesi. La prima riforma è l’allineamento dell’elettorato attivo e passivo del Senato a quello della Camera. Oggi al Senato si vota a 25 anni e si è eletti a 40 anni. Con la riforma anche al Senato si voterebbe a 18 anni e si potrebbe essere eletti a 25.

«Si tratta di superare un’anomalia democratica poiché nessuna Camera elettiva esclude una parte dei cittadini maggiorenni ed anche un’irrazionalità perché finché entrambe le Camere danno la fiducia al governo vanno ridotte al minimo le possibilità di maggioranza divaricanti», spiega Stefano Ceccanti costituzionalista e deputato Pd. Come tutte le modifiche costituzionali la riforma va votata 4 volte. La Camera l’ha già approvata una volta. Il testo è stato confermato dal Senato il 9 settembre. Deve ora fare i passaggi finali a Camera e Senato ma potrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno. Un’altra mini-riforma costituzionale (quindi sempre da varare con quattro voti) è quella della riduzione del numero dei delegati regionali che eleggono il presidente della Repubblica.

Oggi sono 58 e la proposta in discussione in Parlamento ne prevede il calo a 39.
L’obiettivo è chiaro: evitare che siano le Regioni de facto, attraverso il pacchetto di ben 58 voti, ad eleggere il Capo dello Stato. Portando i delegati regionali per l’elezione del Colle a 39 gli attuali equilibri fra parlamentari nazionali e regionali sarebbero rispettati. Il testo di questa legge che finora non ha incontrato opposizioni dovrebbe sbarcare nell’aula della Camera prestissimo, il 25 settembre. Terzo nodo da sciogliere è quello del superamento della base regionale per l’elezione del Senato per eliminare problemi come quello già descritto degli eletti in Liguria indipendentemente da una nuova legge elettorale. Su questo fronte il punto più delicato riguarda la rappresentanza delle minoranze come quella degli altoatesini. Oggi però alcune Regioni (Friuli, Umbria, Molise, Basilicata) hanno molti più senatori delle altre in proporzione ai loro abitanti. Il testo in discussione prevede una riduzione di queste differenze ormai ingiustificate. 
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