Reddito di cittadinanza, come cambierà: stop dopo primo rifiuto del lavoro, assegno ridotto e limite di 2 anni e mezzo

Dopo 18 mesi il sussidio viene sospeso per 6 mesi in cui bisognerà seguire dei corsi di formazione, passati i quali l'importo percepito si riduce del 25%

Reddito di cittadinanza, come cambierà: stop dopo primo rifiuto del lavoro, assegno ridotto e limite di 2 anni e mezzo
di Fausto Caruso
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Lunedì 7 Novembre 2022, 10:23 - Ultimo aggiornamento: 15:38

Stop al reddito di cittadinanza a chi può lavorare. È stato questo il mantra che Giorgia Meloni ha portato avanti per tutta la campagna elettorale e che ora intende tradurre in pratica. La situazione non è però così semplice perché il reddito è una misura che, stando agli ultimi dati forniti dall’Inps, nel corso del 2022 ha interessato con almeno una mensilità almeno 1,6 milioni di nuclei familiari per un totale di 3,5 milioni di persone e attualmente, tra RdC e pensione di cittadinanza, interessa 1,15 milioni di nuclei e 2,5 milioni di persone. Toglierlo di colpo causerebbe un’ondata di disagio sociale potenzialmente incontenibile, soprattutto al Sud dove è concentrato il maggior numero di beneficiari. Ecco allora che dalla Lega arriva la proposta di una stretta graduale.

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Limite di tempo e riduzione graduale

«Togliere il sussidio per 6 mesi a 900mila persone che lo hanno già percepito per 18 mesi senza trovare lavoro» è il proclama ripetuto dal segretario di Matteo Salvini da quando ha preso posto al ministero delle Infrastrutture. L’intento è quello di ricavare così 1 miliardo di euro da usare per quota 41. A spiegare meglio cosa voglia intendere il segretario del Carroccio ci ha pensato Claudio Durigon, leghista e sottosegretario al ministero del Lavoro. «Il sussidio non può essere a vita», ha dichiarato senza mezzi termini, aggiungendo di voler introdurre «un decalage e un sistema che incentivi le persone a lavorare». Quello che la Lega propone in concreto è che per i primi 18 mesi dalla richiesta l'assegno rimanga esattamente come è adesso, con la differenza che se ora, trascorso questo lasso di tempo, si può rinnovare tale e quale la richiesta dopo una sospensione di un mese, con la nuova configurazione lo iato diventerebbe di 6 mesi. Durante questa pausa il lavoratore potenziale non verrebbe però lasciato a sé stesso. Sarebbe tenuto a seguire dei corsi di formazione professionale parzialmente retribuiti così da poter essere inserito in un sistema di «politiche attive del lavoro», come più volte ripetuto dalla premier Meloni. Se trascorsi questi sei mesi non si è ancora trovato un impiego si può rinnovare la richiesta per il RdC, ma per un massimo di altri 12 mesi e con un assegno ridotto del 25% rispetto a quanto veniva percepito in precedenza. Se il lavoro non arriva ci saranno altri 6 mesi di sospensione-formazione e poi sarà di nuovo possibile richiedere il sussidio, per l’ultima volta e solo per altri 6 mesi, con un’ulteriore riduzione del 25%, che a questo punto porterebbe a percepire la metà dell’importo originale.

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L’altro punto fermo della proposta è che il reddito verrebbe revocato dopo il primo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua, mentre ora ne occorrono due (ammesso che questa proposta prima o poi arrivi effettivamente).

Un'opera a cui si dovrebbe accompagnare un insaprimento dei controlli per chi percepisce il reddito lavorando in nero. 

 

Chi sarebbe interessato

Esclusi disabili, fragili e chi percepisce non il reddito ma la pensione di cittadinanza (e dunque è escluso per definizione dal mercato del lavoro) per cui il sussidio continuerebbe ad arrivare e, anzi, l’intenzione del governo sarebbe addirittura di potenziarlo, quale sarebbe la platea interessata dalla rimodulazione del RdC? I 900mila di cui parla Salvini? Sì, ma con qualche precisazione. È vero che secondo l’ultimo monitoraggio dell’Anpal, l’agenzia del ministero del Lavoro, risultavano indirizzate ai servizi per il Lavoro 919mila persone, ma la quota comprende anche 67mila persone esonerate, magari perché con figli piccoli a carico, e quasi 20mila rinviati ai servizi sociali per problemi di alcolismo e tossicodipendenza. 173mila invece già lavorano, pur se con una retribuzione così bassa da dare comunque diritto al reddito di cittadinanza con funzione integrativa. La platea di cui parla il segretario leghista si riduce dunque a 660mila persone tenute alla sottoscrizione dei Patti per il Lavoro (un totale che sale a 833 sommando quelli che un’occupazione già ce l’hanno). Di questi però solo 280mila sono stati effettivamente presi in carico dagli uffici di collocamento e 115mila hanno trovato una qualche forma di impiego. Un quadro che si spiega non solo con la difficile situazione economica attuale, ma anche con il profilo dei soggetti coinvolti. Il vero problema è che di quei 660 mila tre quarti non hanno avuto un impiego negli ultimi tre anni, il 70% non possiede un titolo di studio che vada oltre la licenza media e la metà ha più di 40 anni, quindi, al di là degli schemi proposti, è difficili inserirli nelle richieste del mondo del lavoro attuale.

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È stato di nuovo Salvini a ribadire che la «revisione del reddito di cittadinanza» sarà entro 10 giorni nelle discussioni sulla la nuova legge di bilancio, non per essere abolito, ma per «limitare abusi, truffe e sprechi». Dove però si misurerà l’effettiva efficacia della riforma proposta non sarà nei limiti e nelle sospensioni del sussidio, ma nella capacità effettiva di inserire i percettori in un mercato del lavoro per cui non risultano affatto appetibili.

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